LA VITA IBRIDATA

LA VITA IBRIDATA

15.09.2017

di Valerio Magrelli

Paura, speranza? Come sarà l'autunno dell’incertezza per gli italiani? Come vivranno questa nuova stagione gli abitanti del Bel Paese, ossia del Grande Molo, di quel Lungo Pontile che si protende nel Mediterraneo? (O un’ugola, verrebbe da dire, in mezzo al cavo orale formato dal Mare nostrum). Un tempo si attendeva settembre con il timore di scontri sociali, rivendicazioni salariali, scioperi. Oggi, invece, prevale un doppio timore, costituito dalle minacce terroristiche e finanziarie. Su tutto regna insomma una sottile angoscia al contempo bellica ed economica.

Soprassedendo sulla seconda, soffermiamoci sulla prima, a partire dalla misteriosa “eccezione culturale” rappresentata dall’Italia: sinora, e per fortuna, non abbiamo subito alcun attacco, a differenza di molte stati circostanti – Spagna, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Germania, Svezia. Si parla della bontà dei nostri servizi di sicurezza, insieme al controllo del territorio esercitato dalle molteplici mafie locali. Fatto sta che sembriamo una specie di Svizzera, uno spazio neutro.

Durante la prima guerra mondiale, il dadaista tedesco Richard Hülsenbeck rimarcava la differenza tra la possibilità di sedersi tranquillamente, a Zurigo, e la necessità di dormire su un vulcano, a Berlino. Da parte sua, nel diario del 1915, Hugo Ball paragonava la nazione elvetica a una gabbia d'uccelli circondata da leoni ruggenti. Lo stesso accade a noi un secolo più tardi. Inutile domandarci il perché di tale inaudita e felice incolumità. Almeno fino ad ora siamo stati risparmiati dagli attentati. Il risultato, però, non ci mette certo al riparo da una straniante, acutissima sensazione dì precarietà, quella che gli antichi affidarono al racconto di Damocle sotto la spada. Avvertiamo cioè la presenza di un pericolo che, senza averci colpito, incombe su di noi.
Provavo appunto una simile impressione quando, una dozzina d’anni fa, proposi il neologismo guace, per indicare la confusa mescolanza di “guerra” e “pace” caratteristica della nostra epoca. Immaginando certi grandi laghi asiatici, pensavo a un’acqua salmastra, né dolce né salata, un unico acquitrino in cui la vita stagna, infestata di morte, e la morte attende, inquinata di vita. Ci troviamo difatti in una società democratica e in sostanza agiata, ma percorsa da improvvise e incontrollabili correnti di violenza. Siamo contemporaneamente in guerra e in pace.



Secondo gli antichi romani, le porte del Tempio di Giano venivano aperte in caso di conflitto e chiuse nei periodi di non belligeranza. Ebbene, per smantellare tale sistema binario, Marcel Duchamp espose la porta a due stipiti che divideva tre camere del suo appartamento parigino in rue Larrey. In tal modo, una stanza restava con la porta sempre chiusa e l'altra con la porta sempre aperta, o viceversa.  In questo modo l’artista smentiva il proverbio francese secondo cui “bisogna che una porta sia aperta o chiusa”. Non solo: dimostrandone il “flagrante delitto di inesattezza”, egli finiva anche per contraddire la logica di Giano e del suo tempio. Appunto questa è la sorte che ci aspetta. Dovremo abituarci a una vita ibridata, multidimensionale, del resto alquanto simile a quella multiprocessualità richiesta dalle nuove forme di lavoro.


Valerio Magrelli

Valerio Magrelli, poeta, saggista e traduttore, insegna Lingua e letteratura francese all’Università di Cassino e del Lazio meridionale. Collabora con diversi quotidiani ed è autore di decine di pubblicazioni accademiche.

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