EMERGENZA AMBIENTALE ED EMERGENZA SANITARIA

Durante la seconda guerra mondiale, nel momento più drammatico attraversato dal Regno Unito nella sua storia moderna, Winston Churchill, forgiò il famoso aforisma “difficulties mastered are opportunities won”. Il monito, poi rivelatosi profetico, emergeva dal consolidato pragmatismo anglosassone delle “lessons learned”, cioè dalla constatazione che anche le lezioni più amare della storia hanno sempre molto da insegnarci.
Di fronte alla “guerra del Coronavirus” dobbiamo porci nello stesso atteggiamento e cercare già da ora di rispondere a una serie di urgenti interrogativi che ci pone la pandemia e, al tempo stesso, di esplorare le epocali opportunità che la crisi attuale può dischiudere.
Partiamo dagli interrogativi. Le preoccupazioni ambientaliste degli ultimi, apparentemente messe in ombra dall’emergenza sanitaria, ci pongono invece domande molto serie. Siamo sicuri che la diffusione del virus sia stata del tutto indipendente dall’estesa perdita di biodiversità degli ecosistemi che circondavano le zone di insorgenza? Se è vero, come appare dalla sua analisi filogenetica, che il virus è comparso in modo “naturale”, quali sono i fattori biologici ed ecologici che hanno facilitato il suo passaggio dall’animale all’uomo? Questo spillover è stato forse favorito dall’aumentata contiguità genetica tra animali e uomo e dalla maggiore invasività di specie-vettore dovuta alla distruzione degli habitat naturali?
Inoltre, quanto il cambiamento climatico già in atto ha potuto favorire oggi fenomeni di diffusione di agenti patogeni e, soprattutto, quanto potrà favorirli in futuro quando il cambiamento atteso sarà molto maggiore? Un altro aspetto inquietante è dato dal fatto che le aree del mondo in cui il tasso di letalità del virus appare più alto - basti pensare alle nostre regioni padane - sono anche quelle che sono caratterizzate, da decenni, dalle più alte concentrazioni di quegli inquinanti atmosferici (particolato fine, ossidi di azoto e ozono) che notoriamente aggrediscono le vie respiratorie profonde e ne compromettono la funzionalità. Come non investigare a fondo una possibile correlazione?
Ci sono poi aspetti di questa crisi che sembrano fortunatamente dischiudere per il futuro una serie di opportunità. La drastica diminuzione di mobilità fisica sul territorio è stata finora solo parzialmente compensata dall’alternativa del lavoro a distanza, basato sull’impiego diffuso della tecnologie informatiche e di telecomunicazione (ICT). In effetti già da decenni si parlava dei vantaggi del telelavoro, ma finora le potenzialità delle ICT erano state sfruttate solo marginalmente. Non sarebbe utile cominciare a immaginare, per il dopo-crisi, un’economia che in molti settori (servizi, commercio, e, dove possibile, industria) sia basata sul lavoro a casa? Molti imprenditori della Silicon Valley testimoniano che il remote working incrementa sia la produttività che la motivazione individuale dei loro dipendenti.
Avremmo anche altri benefici da una forte riduzione della mobilità. Le foto satellitari delle regioni del pianeta poste in isolamento mostrano un vistoso calo dell’inquinamento atmosferico, a seguito della diminuzione delle emissioni da traffico. A parte la riduzione delle emissioni dei gas climalteranti, il conseguente miglioramento della qualità dell’aria può garantire una parallela caduta nella mortalità e morbilità provocata dagli agenti inquinanti (ricordiamoci che il numero di decessi da malattie dipendenti dall’inquinamento atmosferico in Europa, nello stesso periodo, è paragonabile a quello del COVID19).
Dovremmo poi rivedere a fondo, in termini sociali ed economici, il nostro modello di welfare. Investimenti nel settore della salute, dalla prevenzione alla cura, si stanno rilevando ben più utili di quelli nei settori del consumismo tradizionale (automobili, beni di lusso marginali, turismo a distanza). “Sine salute nulla felicitas” si diceva già al tempo di Ippocrate. Produzione di beni e servizi in settori come quelli delle strutture di ricovero e cura, degli apparati medicali di diagnostica e terapia, della farmacologia, dell’assistenza domiciliare per anziani e malati cronici possono produrre lo stesso numero di occupati e lo stesso incremento di PIL e hanno in generale un tasso di sostenibilità economica (in termini di circolarità, di riduzione dei consumi energetici e di emissioni di carbono) maggiore di tanti settori “pesanti” del manifatturiero e di altri servizi.
Infine tutti stiamo osservando come la forzata “reclusione domestica” possa far riscoprire il valore dello stare in famiglia, il senso del tempo, la riflessione, la vita interiore di cui l’alienante frenesia di ieri ci aveva di fatto privati. In Italia, fra l’altro, abbiamo riscoperto uno spirito di comunità nazionale, che stiamo vivendo con uno spirito non di egoismo sovranista, ma di appartenenza ad una stessa cultura, aperta, solidale ed inclusiva. Una società sarà più robusta di fronte a crisi future, se, accanto ad una capacità di adattamento sanitario ed economico, saprà riscoprire o inventare ex-novo una autentica resilienza di comunità.
Antonio Ballarin Denti
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