Il libero arbitrio nella Silicon Valley

Nelle sue dimensioni commerciali, il mondo digitale è materialista, ma il bisogno di spiritualità non è affatto scomparso. Le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale possono essere una chance per la Chiesa. Come unire il digitale e la sfida del vivere-insieme.
di Éric Salobir
L’essere umano era prevedibile da ben prima dell’intelligenza artificiale (Ia)! Basta leggere L’arte della guerra di Sun Tzu. L’arte di predire il comportamento dell’altro, di leggere l’umano, fa parte delle brame dell’essere umano. Ma ci si riesce a fatica. Con raccolte di dati molto dettagliate e la loro analisi, disponiamo oggi di nuovi mezzi, assai efficaci, per soddisfare questo desiderio così antico. Ciò non mette di per sé in discussione il libero arbitrio, tuttavia ci interroga sulla parte che attiene alla libertà e la parte che attiene al condizionamento. Siamo a una tappa nuova di un lungo cammino. Freud ci ha mostrato i limiti della libertà dovuti alla determinazione del comportamento da parte dell’inconscio. La libertà totale non esiste, ma neppure la sua mancanza totale. Noi viviamo tra le due, ed è essenziale per noi oggi individuare meglio dove passi la frontiera tra l’una e l’altra.
Certi impieghi dell’Ia consentono di cortocircuitare il circuito decisionale quasi basandosi sulla dimensione rettiliana del nostro modo di funzionare, e questo è inquietante. Eppure il nudge (la cosiddetta “spinta gentile”, NdT) non è un fenomeno nuovo. Prendete la porta della Basilica della Natività di Betlemme, alta un metro e dieci. Per entrare siete obbligati a incurvarvi, poi vi rialzate e prendete coscienza che la vostra postura umana naturale è quella di stare eretti. Questo è un vecchio nudge. Quello che è cambiato è che siamo passati da un nudge esterno, dal quale è possibile prendere le distanze, a tecnologie digitali che rischiano di farci perdere la capacità di prendere le distanze da certi nudge. È, questo, il meccanismo pubblicitario che ci induce a consumare. Lo stesso dicasi per i movimenti settari, che colgono il momento in cui uno è più fragile per fare di lui quello che vogliono, o quasi. Ciò spiega, in parte, anche la radicalizzazione online, che sa individuare persone in situazione di vulnerabilità, di crisi o di isolamento. Questo non significa che il libero arbitrio non esista più, ma che ci sono certuni che interferiscono con il libero arbitrio degli altri. Non sono cose nuove. Ma la capacità di intrusione adesso ha imboccato un tornante piuttosto netto. Sono possibili manipolazioni in grado di giungere a minacciare il vivere-insieme e la democrazia. Inquietante!
I giovani e la comunicazione online
Il digitale consente una nuova modalità di comunicazione. I giovani possono avere una vita digitale non meno ricca della loro vita Irl (in real life), e che va a completarla. La comunicazione digitale è in buona parte una comunicazione interstiziale. Gli adolescenti incontrano altri online, ma adottano un funzionamento relativamente tribale, poiché esitano a parlare con chi non fa parte della loro banda. La comunicazione digitale colma le lacune di relazioni preesistenti. Questo cambia i modi e i ritmi di presenza. Una volta, il giovane nel suo domicilio era inaccessibile. Oggi può essere raggiunto nella sua cameretta. Un ragazzo bullizzato in classe non potrà più trovare un’oasi di pace. La molestia può rendersi onnipresente. Questa nuova relazione con il tempo e lo spazio ci rende più vicino un certo numero di persone, e così la nostra topografia cambia: è possibile avere amici un po’ dappertutto nel mondo, e i social network danno loro visibilità e permettono di mantenere i legami. È positivo.
L’amore, le macchine e l’empatia
L’amore è un sentimento complesso. Anche se abbiamo l’impressione di capirne un po’ di più grazie alle neuroscienze e alla psicologia, non ne sappiamo granché, in realtà, o non abbastanza per ricondurre questo fenomeno a un funzionamento elettrico o chimico. Soprattutto non bisogna confondere le cose. I legami assai forti con un numero ridotto di persone non hanno niente a che vedere con tutti i legami deboli che si stabiliscono sui social network. Prende inoltre sempre più piede l’aspirazione a una forma di celebrità (anche relativa). È l’aspetto negativo dei media bidirezionali.
Altro motivo di preoccupazione: le macchine sanno imitare l’empatia. Per alcuni, la simulazione vale quanto la realtà – ma è soltanto una simulazione. Il pericolo, quando si simula l’empatia, è di mettere l’altro in una situazione di dipendenza. L’umano rischia di lasciarsi coinvolgere in relazioni con oggetti cosiddetti intelligenti, differenti anche da quelle che si possono avere con un animale da compagnia; queste ultime non sono relazioni puramente utilitaristiche, ma forme particolari di legame, asimmetriche, certo, ma bidirezionali. Con la macchina, la relazione è totalmente unidirezionale: siamo solo noi a proiettare un sentimento. Le macchine non sono sistemi empatici. L’empatia la simulano, così come un sociopatico simula un sentimento senza provare niente. L’empatia cambia il nostro modo di funzionare: essere toccati da qualcuno ci trasforma. La nostra reazione viene dal cuore.
Non è certo cosa cattiva migliorare l’esperienza dell’utente, ma per una persona fragile questa dimensione unidirezionale della relazione può rivelarsi nociva. L’empatia simulata offre la migliore possibilità di manipolazione dell’altro. Qual è lo scopo della simulazione attraverso la macchina? Elaborata dal corpo medico per facilitare la comunicazione, può essere legittima. Ma quando si tratta di un’empatia simulata per altri motivi, per esempio commerciali?… Qui s’impone una stretta vigilanza dal punto di vista etico.
(Traduzione di Pier Maria Mazzola)
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Éric Salobir
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