La serialità e il terrorismo, chiavi nuove per capire

La serialità e il terrorismo, chiavi nuove per capire

18.02.2020
Dagli Usa a Israele, dalla Norvegia alla Turchia, sono diversi i titoli che affrontano delicate questioni di geopolitica. Guardando Homeland o Fauda lo spettatore fa i conti con i lati oscuri della lotta al terrore, in un intreccio tra finzione e mondo reale.

di Aldo Grasso e Paolo Carelli

Quando va in onda per la prima volta la serie tv Homeland (il 2 ottobre 2011 sul canale premium cable Showtime), sono trascorsi dieci anni dagli attentati dell’11 settembre e gli Stati Uniti stanno facendo i conti con la faticosa ricostruzione di un’identità ferita e con gli ultimi nefasti esiti dell’estenuante guerra in Iraq. Gli americani (ma non soltanto loro, tutte le società occidentali) hanno imparato in quel decennio a conoscere il terrorismo di matrice islamica e a convivere con un sentimento latente di paura e precarietà.
Questa angoscia si è riversata nell’industria dell’immaginario attraverso serie televisive che hanno iniziato a indagare i lati oscuri della lotta al terrore, le contraddizioni del potere, il mutato e quanto mai incerto e instabile quadro internazionale, al punto di riuscire, in alcuni casi, persino ad anticipare e prevedere il corso reale degli eventi. Homeland ha rappresentato per certi versi l’emblema di questo nuovo inizio, il trionfo del disincanto sull’illusione, la ricerca impaziente di nuovi eroi (spesso femminili) attraverso cui interpretare e invertire quella rotta di “fine della storia” di cui parlava Francis Fukuyama. «Nessuna serie» – ha scritto recentemente Cynthia Littleton su «Variety» – «ha lavorato più duramente per mostrare uno specchio della Realpolitik nel mondo post-11 settembre».

Homeland e la paura del nemico “in casa”

Ispirata alla serie israeliana Hatufim di Gideon Raff, Homeland – Caccia alla spia ha come protagonista l’agente della Cia Carrie Mathison (Claire Danes), affetta da disturbo bipolare; venuta a conoscenza della liberazione di Nicholas Brody, un marine detenuto da Al-Qaeda come prigioniero di guerra, l’agente Mathison è investita dal dubbio. Mentre il soldato Brody viene accolto in patria ed esibito alla nazione come eroe, Carrie è assalita dal sospetto che il prigioniero liberato si sia in realtà convertito all’islam e sia entrato a far parte di una cellula dormiente dell’organizzazione terroristica. Giunta ormai a otto stagioni (tornerà in onda a febbraio 2020 per il finale), Homeland attraversa un periodo alquanto buio della storia americana, dalla paranoica ossessione del nemico ai discutibili metodi di detenzione dei prigionieri (tema quest’ultimo al centro anche del recentissimo film The Report di Scott Burns), dalla degenerazione del contesto mediorientale alle incertezze della Casa Bianca, spesso giocando d’anticipo sugli eventi e, in ogni caso, condensando al proprio interno un senso diffuso di confusione, smarrimento e inadeguatezza. Come ha scritto il politologo francese Dominique Moïsi nel libro La geopolitica delle serie tv. Il trionfo della paura, infatti, «Homeland è l’esempio più sintomatico e più tipico di una cultura della paura che nasce negli Stati Uniti prima della tragedia dell’11 settembre 2001, ma che si diffonde in maniera spettacolare da allora […]. Troppo passiva, troppo fiduciosa in se stessa di fronte alla minaccia terrorista prima dell’11 settembre 2001, l’America avrà una reazione eccessiva in seguito a quei tragici eventi, senza interrogarsi seriamente sulla razionalità, se non sulla moralità di ciò che metterà in atto».
Già prima di Homeland, in effetti, la serialità americana aveva guardato al pericolo del terrorismo con il piglio tipico della tradizione action: si tratta di 24 (Fox, 2001-2014), uscita pressoché in contemporanea con gli attentati dell’11 settembre, con Kiefer Sutherland nel ruolo del protagonista Jack Bauer, agente federale dell’antiterrorismo di Los Angeles. Seguendo uno schema fisso e ripetitivo (ogni stagione è una giornata di Bauer, ogni episodio un’ora della giornata), 24 affrontava ogni volta una minaccia esterna (un attentato, una bomba nucleare, un’epidemia) che il protagonista fronteggiava in maniera diretta, con abilità ed eroismo, senza il rischio di inganni, doppiogiochismi o letture parallele.

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Aldo Grasso, Paolo Carelli

 
La serialità e il terrorismo, chiavi nuove per capire
Autore: Paolo Carelli, Aldo Grasso
Formato: Articolo
Dagli Usa a Israele, dalla Norvegia alla Turchia, sono diversi i titoli che affrontano delicate questioni di geopolitica. Guardando Homeland o Fauda lo spettatore fa i conti con i lati oscuri della lotta al terrore, in un intreccio tra finzione e mondo reale.
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