Padre Hamel, Satana e il terrorismo diabolico

Alcune riflessioni sul significato delle ultime parole pronunciate dal sacerdote francese sgozzato da un jihadista a Rouen nel 2016. Il fanatismo dal volto demoniaco e il ruolo del diavolo nella Bibbia, nella letteratura e nella società contemporanea.
Sono ormai ben note le circostanze dell’assassinio di padre Jacques Hamel, sacerdote di 85 anni della diocesi di Rouen, avvenuto martedì 26 luglio 2016 nella chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray alla fine della messa del mattino, da parte di due giovani jihadisti francesi di 19 anni. Lo storico di Louvain, Jan de Volder, giunto per un’inchiesta sul posto nei giorni successivi, ne ha lasciato un racconto dettagliato al quale sembra non esserci granché da eccepire, neanche dopo la riapertura della chiesa al culto, nell’ottobre 2016, che ha reso accessibile la scena del crimine. L’evento ha avuto una risonanza mondiale, poiché padre Hamel è stato il primo sacerdote a venir ucciso in Europa da un jihadista. L’emozione è stata generale anche tra i musulmani, la cui reazione è stata più marcata del solito, tanto era forte la sensazione di trasgressione e di sacrilegio.
Sono ormai ben note le circostanze dell’assassinio di padre Jacques Hamel, sacerdote di 85 anni della diocesi di Rouen, avvenuto martedì 26 luglio 2016 nella chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray alla fine della messa del mattino, da parte di due giovani jihadisti francesi di 19 anni. Lo storico di Louvain, Jan de Volder, giunto per un’inchiesta sul posto nei giorni successivi, ne ha lasciato un racconto dettagliato al quale sembra non esserci granché da eccepire, neanche dopo la riapertura della chiesa al culto, nell’ottobre 2016, che ha reso accessibile la scena del crimine. L’evento ha avuto una risonanza mondiale, poiché padre Hamel è stato il primo sacerdote a venir ucciso in Europa da un jihadista. L’emozione è stata generale anche tra i musulmani, la cui reazione è stata più marcata del solito, tanto era forte la sensazione di trasgressione e di sacrilegio.
Le ultime parole di padre Hamel – «Vattene, Satana! Satana, vattene!» – sono state rivelate dall’arcivescovo di Rouen, monsignor Dominique Lebrun, nell’omelia pronunciata alle esequie nella cattedrale di Rouen il 2 agosto 2016. Per sfasatura temporale e canale di diffusione, si tratta di un’informazione di Chiesa, non di una news mediatica. Ciò non ha impedito che quelle parole producessero un’impressione forte e suscitassero numerose reazioni, lo stesso papa Francesco ne ha parlato il 14 settembre successivo davanti a pellegrini francesi a Roma. Nella fiumana dei commenti ripetitivi che i media da anni riversano sull’islamismo contemporaneo, sembrava che all’improvviso qualcuno avesse detto qualcosa di nuovo. Detto o piuttosto fatto, poiché è impressionante constatare come, sui media, generalmente ci si sia chiesti che cosa padre Hamel avesse voluto dire, e più ancora forse non dire (accusare i musulmani?), con quelle parole mentre, anche indipendentemente dalle circostanze che non si prestavano molto alla riflessione, sembra che avesse soprattutto voluto fare qualcosa. Per la precisione: difendersi, facendo un esorcismo a un posseduto.
La cosa colpisce tanto più in quanto Jan de Volder ci informa che padre Hamel aveva l’abitudine di recitare tutte le mattine la seguente preghiera: «San Michele arcangelo, difendeteci nella lotta; siate il nostro soccorso contro la malizia e le imboscate del demonio. Che Dio gli faccia sentire il suo impero, ve ne supplichiamo. E voi, Principe della Milizia celeste, respingete all’inferno, con la forza divina, Satana e gli altri spiriti malvagi che si aggirano furtivamente nel mondo per portare le anime alla perdizione».
Curiosamente, nessuno sembra essersi davvero stupito che un prete della generazione conciliare (Jan de Volder insiste molto su questo), ordinato nel 1958, abbia potuto recitare ogni mattina quella preghiera. Le sue origini normanne forse c’entrano qualcosa, ma non spiegano indubbiamente tutto, perché quella preghiera ha una storia significativa. La devozione a san Michele ha radici molto antiche nella Chiesa, risalenti in pratica al libro dell’Apocalisse, ma la preghiera, di cui esistono parecchie versioni, è tratta, sembra, dal Piccolo esorcismo di Leone XIII (papa tra il 1878 e il 1903), di cui costituiva l’orazione introduttiva, prima dell’esorcismo propriamente detto e delle preghiere finali. Un tempo faceva parte della devozione popolare e non è del tutto scomparsa ai nostri giorni. Una cara amica di padre Hamel, dalla quale Jan de Volder ha ottenuto l’informazione, la recitava ogni giorno. Era presente nei messali antecedenti al Vaticano II, in mezzo ad altre preghiere (Ave Maria, Salve Regina, orazione Deus refugium nostrum) che si dicevano in ginocchio dopo la messa e che erano state prescritte da Leone XIII ma anche da Pio XI per la conversione della Russia.
Si dice che Leone XIII, in seguito a una rivelazione privata, avesse preteso da tutti i preti che la recitassero alla fine della loro messa, cosa che hanno fatto teoricamente fino al Vaticano II, anche se la pratica in Francia sembra essere declinata dopo la Seconda guerra mondiale (è diventato molto difficile oggi trovare preti che se ne ricordino). Quella richiesta pontificia faceva all’inizio parte di un piano di lotta contro la franco-massoneria, solennemente condannata come opera di Satana dallo stesso Leone XIII nell’enciclica Humanum genus (1884). Dopo il Vaticano II è sopravvissuta in certi ambienti tradizionalisti, rimasti attaccati al cattolicesimo preconciliare, o carismatici, preoccupati di ovviare alla pressoché scomparsa dell’officio di esorcista nelle diocesi. Ordinato nel 1958, padre Hamel ha fatto parte dell’ultima generazione di preti formati nel cattolicesimo preconciliare che hanno potuto doverla recitare, anche se la storia non dice da quanto tempo la recitasse, se avesse continuato a farlo dopo il Concilio o se l’avesse riscoperta più di recente.
Il caso di padre Hamel è stato accostato a quello dei sette monaci trappisti di Tibhirine rapiti da islamisti nel 1996 durante la guerra civile algerina e assassinati non si sa da chi. Jan de Volder, ad esempio, parla di padre Hamel come del «Christian de Chergé della porta accanto». Ma il paragone ha i suoi limiti, perché tra questi due casi di “martirio” le differenze colpiscono quanto le similitudini. I monaci di Tibhirine hanno visto avvicinarsi l’evento ed è stata questa la difficoltà della loro situazione, come ben l’ha resa Xavier Beauvois nel fi lm Uomini di Dio (2010). I testi di padre de Chergé impressionano per la loro preoccupazione di esonerare anticipatamente l’islam da ogni responsabilità nella loro morte e per il perdono preventivamente concesso agli assassini. Il caso di padre Hamel è diverso perché è stato colto di sorpresa dall’evento e non ha lasciato che avvenisse. Ha resistito, fisicamente e spiritualmente, e il suo ultimo atto è consistito nel nominare il Nemico, suscitando la sorpresa di veder tornare, in quell’occasione, quel personaggio dimenticatissimo dal cattolicesimo contemporaneo che è il diavolo e, con ciò, profilarsi un’interpretazione demonologica del tutto inaspettata dell’islamismo contemporaneo.
La storia della Chiesa, che talvolta si tenderebbe ad addomesticare un po’ per darle diritto di cittadinanza nell’universo accademico, è fatta anche di eventi di questo tipo, la cui inquietante stranezza getta su di essa, come sul nostro mondo, una luce obliqua in grado di far riflettere. Un esorcismo inaspettato, una preghiera dimenticata, un’emozione collettiva provocano un turbamento salutare in ciò che ne sappiamo o crediamo saperne. Non è necessario avere letto Jules Michelet o Michel de Certeau per sentire che un tale personaggio (il diavolo), in tali circostanze, non ritorna mai del tutto per caso, soprattutto là dove sembrava essere totalmente e definitivamente scomparso. Che cosa può fare, allora, di un tale evento lo storico? Quel ritorno ha un significato storico e, se sì, quale? Di quale rimozione è sintomo nella religione e nella cultura contemporanee? Di una ripetizione del passato o dell’avvento di qualcosa di nuovo?
Ciò che forse più sorprende, in questa storia, è che il diavolo non vi torna sotto le forme psicopatologiche che gli si conoscono di solito negli ambulatori degli psichiatri o nei consulti degli esorcisti, ma come attore della Storia. Il giusto termine di paragone qui non è da cercare nelle diavolerie di Jean-Martin Charcot, ma nel nazismo o nel comunismo, i totalitarismi del XX secolo riguardo ai quali la Chiesa di ieri non dubitava (pur essendo relativamente discreta sull’argomento) che in ultima istanza avessero qualcosa a che fare con lui.
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Guillaume Cuchet
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