Maggiolini: "Israele e Palestina fra crisi e nuovi conflitti"

L’annuncio nel novembre 2022 della vittoria elettorale di Netanyahu grazie al decisivo apporto delle formazioni di estrema destra e le immediate dichiarazioni del nuovo governo di voler modificare alcuni assetti decisivi nella vita istituzionale del Paese sembravano rappresentare uno dei più significativi spartiacque nella storia recente israeliana.
Mai in passato si erano vissute tensioni e proteste come quelle susseguitesi fino alla prima settimana di ottobre, quando Hamas ha deciso di interrompere la tregua con Israele assaltando le comunità israeliane nei pressi di Gaza. Mentre scriviamo, in data 11 ottobre, il bilancio delle violenze, oltre 1200 morti e 150 rapiti per Israele e più di 1000 palestinesi, oscura inevitabilmente gli eventi che stavano scuotendo l’area. Di fronte alla gravità del momento e al lutto per le vittime è, però, importante provare a non appiattirsi sul piano della cronaca.
Le ragioni di questa guerra non possono essere certo ritrovate solo nel recente passato. Richiamarlo alla mente, però, aiuta a comprendere quale fosse la situazione interna a Israele e lo stato delle sue relazioni con la sfera palestinese.
L’agenda del governo Netanyahu si è distinta fin da subito per la sua visione radicalmente etnocratica e di nazionalismo religioso. Inoltre, le forze che lo compongono hanno chiaramente dimostrato di voler dettare, senza alcun compromesso, la linea politica di quasi tutti i dossier più contradditori nella vita del Paese. Con Netanyahu hanno fatto il loro trionfale ingresso nell’esecutivo formazioni legate al mondo dei coloni, compiendo un decisivo passo nel lungo cammino di accesso allo Stato. Di fatto, dopo essersi affermata come terza forza del panorama parlamentare israeliano, con 14 seggi, la coalizione Sionismo Religioso si è ridivisa nelle sue tre originali compagini costitutive, ossia il Partito Sionista Religioso, che con il suo leader Bezalel Smotrich ha ottenuto il controllo del Ministero delle Finanze, Potere Ebraico, che ha raggiunto con Itamar Ben-Gvir la guida del Ministero della Sicurezza Nazionale, e, infine, Noam, che mantiene un seggio da cui porta avanti la sua campagna contro i diritti Lgbt e a favore del potenziamento dell’insegnamento religioso. A questi si somma la presenza di Shas e di Ebraismo della Torah Unito, il primo espressione del mondo osservante sefardita e mizrahi, mentre il secondo voce degli haredim askenaziti. Allo spirito conservatore del Likud, la coalizione di governo unisce le mire personali di Netanyahu, il desiderio dei sostenitori di Shas di vedere il proprio leader, Aryeh Deri, nuovamente nelle istituzioni, le battaglie anti-coscrizione della cosiddetta sfera ultraortodossa e, infine, l’istinto annessionista del movimento dei coloni. Vero collante dell’esecutivo è, però, il comune senso di disdegno nei confronti del sistema di pesi e contrappesi rappresentato dalla Corte Suprema, difeso secondo la loro opinione da élite corrotte che stanno pregiudicando il carattere ebraico di Israele e che non esitano a ricorrere al potere giudiziario per limitare e sovvertire il voto delle urne.
Nel campo avverso, invece, il fronte critico nei confronti dell’esecutivo si presentava sotto una duplice veste. Nell’ambito parlamentare, al di là del comune rigetto dell’esecutivo, le opposizioni si sono dimostrate divise e incapaci di elaborare tanto una proposta alternativa convincente durante le elezioni quanto una strategia efficace per affermarsi nelle urne. Nella società israeliana, invece, fin dai primi mesi del 2023 si era delineato un sentimento di protesta ampio e trasversale con voci dal mondo dell’economia, della politica, della società civile e delle forze di sicurezza.
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Mai in passato si erano vissute tensioni e proteste come quelle susseguitesi fino alla prima settimana di ottobre, quando Hamas ha deciso di interrompere la tregua con Israele assaltando le comunità israeliane nei pressi di Gaza. Mentre scriviamo, in data 11 ottobre, il bilancio delle violenze, oltre 1200 morti e 150 rapiti per Israele e più di 1000 palestinesi, oscura inevitabilmente gli eventi che stavano scuotendo l’area. Di fronte alla gravità del momento e al lutto per le vittime è, però, importante provare a non appiattirsi sul piano della cronaca.
Le ragioni di questa guerra non possono essere certo ritrovate solo nel recente passato. Richiamarlo alla mente, però, aiuta a comprendere quale fosse la situazione interna a Israele e lo stato delle sue relazioni con la sfera palestinese.
L’agenda del governo Netanyahu si è distinta fin da subito per la sua visione radicalmente etnocratica e di nazionalismo religioso. Inoltre, le forze che lo compongono hanno chiaramente dimostrato di voler dettare, senza alcun compromesso, la linea politica di quasi tutti i dossier più contradditori nella vita del Paese. Con Netanyahu hanno fatto il loro trionfale ingresso nell’esecutivo formazioni legate al mondo dei coloni, compiendo un decisivo passo nel lungo cammino di accesso allo Stato. Di fatto, dopo essersi affermata come terza forza del panorama parlamentare israeliano, con 14 seggi, la coalizione Sionismo Religioso si è ridivisa nelle sue tre originali compagini costitutive, ossia il Partito Sionista Religioso, che con il suo leader Bezalel Smotrich ha ottenuto il controllo del Ministero delle Finanze, Potere Ebraico, che ha raggiunto con Itamar Ben-Gvir la guida del Ministero della Sicurezza Nazionale, e, infine, Noam, che mantiene un seggio da cui porta avanti la sua campagna contro i diritti Lgbt e a favore del potenziamento dell’insegnamento religioso. A questi si somma la presenza di Shas e di Ebraismo della Torah Unito, il primo espressione del mondo osservante sefardita e mizrahi, mentre il secondo voce degli haredim askenaziti. Allo spirito conservatore del Likud, la coalizione di governo unisce le mire personali di Netanyahu, il desiderio dei sostenitori di Shas di vedere il proprio leader, Aryeh Deri, nuovamente nelle istituzioni, le battaglie anti-coscrizione della cosiddetta sfera ultraortodossa e, infine, l’istinto annessionista del movimento dei coloni. Vero collante dell’esecutivo è, però, il comune senso di disdegno nei confronti del sistema di pesi e contrappesi rappresentato dalla Corte Suprema, difeso secondo la loro opinione da élite corrotte che stanno pregiudicando il carattere ebraico di Israele e che non esitano a ricorrere al potere giudiziario per limitare e sovvertire il voto delle urne.
Nel campo avverso, invece, il fronte critico nei confronti dell’esecutivo si presentava sotto una duplice veste. Nell’ambito parlamentare, al di là del comune rigetto dell’esecutivo, le opposizioni si sono dimostrate divise e incapaci di elaborare tanto una proposta alternativa convincente durante le elezioni quanto una strategia efficace per affermarsi nelle urne. Nella società israeliana, invece, fin dai primi mesi del 2023 si era delineato un sentimento di protesta ampio e trasversale con voci dal mondo dell’economia, della politica, della società civile e delle forze di sicurezza.
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