Dopo il mio bosone, aspetto il “neutrino di Majorana”

Dopo il mio bosone, aspetto il “neutrino di Majorana”

14.02.2014
Dopo il mio bosone, aspetto il
Dopo il mio bosone, aspetto il "neutrino di Majorana"
autori: Peter W. Higgs
formato: Articolo
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Peter W. Higgs

Immaginando una porzione infinitesimale di materia, ha reinterpretato il nostro mondo, ma ancora attende scoperte che lo rivoluzioneranno. Un premio Nobel non credente, ma che non vede una contraddizione tra fede e scienza: i tempi del conflitto sono passati.

Il premio Nobel per la Fisica 2013 a ottobre è stato assegnato a Peter W. Higgs, dell’Università di Edimburgo, e al belga François Englert, della Libera Università di Bruxelles. Entrambi, in modo indipendente, cinquant’anni fa previdero l’esistenza della particella grazie alla quale esiste la massa. Nota oggi come “bosone di Higgs”, è stata rilevata solo l’anno scorso dagli esperimenti del Cern di Ginevra chiamati Cms e Atlas, guidati dagli italiani Guido Tonelli e Fabiola Gianotti. Higgs, che nel 2013 ha vinto anche il premio Nonino «a un maestro del nostro tempo» – un riconoscimento che anche questa volta è riuscito ad anticipare il Nobel –, è professore emerito di Fisica teorica. È un tipico signore britannico misurato e arguto, dall’intelligenza chiara. Seppur ottantaquattrenne, ha un tratto del carattere giovanile e aperto.

Lei è sicuro che il Cern abbia veramente trovato il “bosone di Higgs” e non qualcos’altro?

Sì, assolutamente. Io però nel mio articolo del 1964 proposi una teoria che prevedeva l’esistenza di almeno una particella priva di spin e di massa, ma a ben vedere potrebbero essercene anche di più. Quando potremo usare campi di energia più elevati, quando le proprietà di queste particelle saranno identificate e pienamente esplorate, potremmo trovarci davanti qualcosa di nuovo.

Intende dire che potrebbe esistere un’intera famiglia di “bosoni di Higgs”?

Sì, potrebbe essere così. Esistono già teorie che vanno al di là di quello che oggi in fisica viene chiamato “Modello standard”; esse toccano problemi come la materia oscura dell’universo, che per essere spiegata richiede più di una particella senza né spin né massa, elettricamente neutra. Sarebbe davvero interessante se saltasse fuori una cosa simile.

Lei ha immaginato un oggetto fisico che, per essere effettivamente rilevato, ha richiesto 50 anni e attrezzature spaventosamente grandi e costose. Come ha fatto? Che potenza ha la mente umana?

Nei primi anni Sessanta era già ben assodata la teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell. L’idea che mi venne in mente – assieme ad altri scienziati, a Bruxelles e Londra – fu quella di associarla alle teorie avanzate da Yoichiro Nambu a Chicago e da Jeffrey Goldstone in Inghilterra, che mostravano come si possa generare la massa di particelle elementari associate a un campo retrostante, una sorta di sfondo uniforme nell’universo, che cambia a seconda del modo in cui le onde di vario tipo si propagano. Questa teoria aveva però il difetto di risultare essenzialmente predittiva, e non era affatto facile provarla con esperimenti.

Nella scienza si immaginano cose che sono difficili da provare, ma qui c’è voluto davvero tanto...

Esistono altri casi simili. L’esempio più ovvio è la predizione e la tardiva scoperta dei neutrini, altri oggetti fisici molto interessanti. Si tratta di particelle elementari che hanno una massa estremamente piccola – prima si credeva addirittura che non ne avessero alcuna – e che viaggiano quasi alla velocità della luce. Vennero previsti attorno al 1930 da Wolfgang Pauli, che, misurando il decadimento della radioattività, sembrava rilevare una perdita di energia fra il nucleo originale e i suoi derivati in termini di elettroni e protoni. Ma quello della conservazione dell’energia è un principio fondamentale della nostra fisica, così Pauli iniziò a pensare che in quelle trasformazioni ci fosse qualcosa di perduto, che non era stato rilevato dagli strumenti allora disponibili: una particella elettricamente neutra con un’interazione molto debole con la materia ordinaria. Sarebbe stata poi chiamata “neutrino” da Enrico Fermi nel 1931, ma fu realmente scoperta solo 25 anni dopo, nel 1956, negli Stati Uniti. La ragione è che è molto difficile rilevare i neutrini. Questo è un altro esempio di predizione piuttosto lontana dalla scoperta sperimentale. La scoperta del bosone associato ormai al mio nome, tuttavia, ha richiesto ancora più tempo: praticamente il doppio.

Qual è stato il punto di forza dell’esperimento del Cern?

A parte le dimensioni dell’anello e le velocità e temperature raggiungibili – Lhc è un enorme progetto ingegneristico – il fatto che la macchina ginevrina abbia due tipi diversi di rilevatori che guardano allo stesso fenomeno. Ciò significa che ci sono due esperimenti in grado di controllarsi a vicenda: se ne hai solo uno a disposizione, non ti accorgi degli errori. Credo che la prossima frontiera sarà proprio l’interazione tra Cern e altri laboratori – come quello del Gran Sasso, in Italia, o altri negli Stati Uniti e in Giappone – che lavorano sui neutrini. Le due direzioni di ricerca sono complementari perché questi laboratori si concentrano su ciò che il Cern non è attrezzato per fare.

Perché i neutrini sono così interessanti?

Paul Dirac, attorno al 1930, nella sua teoria relativistica dell’elettrone, predisse l’esistenza del positrone, che ha stessa massa e carica elettrica opposta. E i teorici pensarono che questo fosse il modo in cui devono stare sempre le cose: che per ogni particella dell’universo ci debba essere sempre un’antiparticella. Ettore Majorana, invece, capì che poteva esistere una particella elettricamente neutra, che sarebbe al tempo stesso la sua propria antiparticella. Se riuscissimo a provare che ciò è possibile per qualche neutrino – magari non per tutti –, sarebbe un risultato molto importante. Il “neutrino di Majorana” avrebbe un effetto decisivo sulle cose che possono o non possono accadere nell’universo secondo le nostre teorie.

Lei crede che possano esistere neutrini più veloci della luce, come sembrò per un attimo risultare l’anno scorso dall’esperimento Opera tra Cern e laboratori del Gran Sasso?

Credo di no. Un risultato del genere avrebbe conseguenze molto forti su tutti i nostri principi fisici teorici, che sono stati verificati molto bene in questi decenni. Dopo qualche tempo venne fuori che i risultati di quell’esperimento sotto il Gran Sasso erano dovuti a un errore nelle connessioni che fornì valori non scientificamente corretti. Non sarebbe affatto augurabile che qualcuno trovasse valori di velocità superiori a quelli della luce per i neutrini. L’esistenza di una “velocità fondamentale” è prevista dalla Relatività di Einstein: oltre di essa non si può andare.

Ettore Majorana però 80 anni fa previde l’esistenza di neutrini superluminali.

Ciò che si dovrebbe fare per dimostrare che Majorana aveva ragione è rilevare qualche reazione fra neutrini che al momento sia vietata nel caso di neutrini convenzionali, del tipo di Dirac. Osservare qualche fenomeno che – se i neutrini avessero una propria distinta antiparticella – non potrebbe accadere, e sarebbe invece possibile nel caso dei “neutrini di Majorana”. In diversi laboratori al mondo si stanno facendo esperimenti sulla reale natura dei neutrini e su queste “particelle di Majorana”: se alcuni neutrini fossero anche la propria antiparticella, sarebbero “particelle di Majorana”, ma a questo ancora non c’è risposta.

La scoperta del “bosone di Higgs” può essere pericolosa come la scissione dell’atomo?

Penso che i materiali che stiamo studiando siano piuttosto neutrali rispetto a considerazioni etiche. Costruire un nuovo tipo di bomba ancora più devastante non sembra possibile in questo campo, i missili a testata atomica sono materia piuttosto della vecchia fisica nucleare. Le implicazioni di questa scoperta per l’umanità sono semplicemente in termini di comprensione dell’universo in cui viviamo. Con il “bosone di Higgs” sarà possibile capire molto meglio i suoi primissimi istanti, studiando nei laboratori questa sorta di “palla di fuoco” ad altissima densità.

Che cosa possiamo scoprire ancora in fisica subatomica? Non c’è un limite?

Tutto quello che posso dire è che noi oggi capiamo formule che quando io ero uno studente non capivo. Una mia grande soddisfazione è che, grazie al lavoro nel quale anch’io sono stato coinvolto, oggi possiamo comprendere cose che erano del tutto misteriose quando negli anni Cinquanta seguivo i miei corsi di fisica nucleare. Abbiamo fatto tanta strada, ma non sappiamo fino a dove potremo arrivare; sappiamo solo che abbiamo ancora problemi che non comprendiamo, abbiamo qualche idea di come potremmo affrontarli, ma fare delle previsioni è molto difficile.

Secondo lei oggi c’è più bisogno di nuove brillanti teorie o di esperimenti più sofisticati?

Io penso che abbiamo addirittura un eccesso di teoria. Esistono infatti diverse teorie che pretendono di superare il “Modello standard”, ma sono ancora assolutamente non verificate. Uno dei lavori più importanti che deve essere fatto al Cern è proprio fornire una massa di dati per cui tutte queste affermazioni “speculative” possano trovare riscontro. È diventato piuttosto alla moda speculare su quale sarà il prossimo passo nel campo delle forze elettrodeboli, siamo pieni di candidati teorici: un giorno gli esperimenti ci diranno quale di questi è la risposta alle nostre domande.

Ci sono molti “filosofi ” in fisica oggi, non le pare?

Infatti.

Se avesse vent’anni, in quale direzione cercherebbe novità?

È difficile rispondere a questa domanda a ottantaquattro anni! Prima di tutto, se avessi vent’anni oggi sarei pratico di tutte le tecniche informatiche che sono state sviluppate in questi decenni, cosa che non è. Avrei dunque più strumenti disponibili per la ricerca. Francamente, però, non so neppure se diventerei un fisico; oggi sarei allo stesso modo interessato a capire i sistemi biologici. E per questo non c’è bisogno di studiare le particelle elementari, eccezion fatta per certi processi radioattivi che danneggiano i sistemi biologici.

Lei non è credente.

No, ma credo che non ci sia una contraddizione assoluta tra fede e scienza. C’è chi pensa che l’ipotesi che certi scienziati siano credenti nasconda in sé una contraddizione, io non penso che sia necessariamente così. I luoghi in cui la fede religiosa e l’evidenza scientifica possono entrare in conflitto nel passato sono stati chiarificati. Ci sono state, indubbiamente, credenze su fenomeni che erano costruite su credenze religiose e che poi sono state contestate con evidenze scientifiche. Sono sicuro che ci sono aree in cui questo avviene ancora. Non penso però di poter dire che una posizione come la mia, di uomo senza una fede, sia l’unica sostenibile. C’è gente che è stata capace di conciliare questi due lati, semplicemente io non trovo plausibili alcune cose che essi credono. Non mi piacciono però gli atteggiamenti di scienziati come Richard Dawkins che continuano ad accendere conflitti con i fondamentalisti religiosi: non mi pare la cosa più ragionevole da fare. Credo che Dawkins diventi lui stesso quasi un fondamentalista. Quando l’ho incontrato di persona l’ho trovato così aggressivo nel modo che ha di propagandare le sue idee che mette se stesso nella stessa posizione degli integralisti religiosi.

È vero che, se non si occupa di fisica, lei legge romanzi?

Devo confessare che compro libri molto più velocemente di quanto riesca a leggerli. Mi piacciono soprattutto scrittori contemporanei di lingua inglese.

Fantascienza?

No, la fantascienza mi interessa poco. Preferisco i fatti.

A volte la “fanta”-scienza, nell’arco di qualche decennio, tende ad avvicinarsi ai fatti della scienza reale...

Le cose cambiano, sì.

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