L'8 marzo e l'ora di un nuovo femminismo

L'8 marzo e l'ora di un nuovo femminismo

Il canto del cigno del femminismo in Italia
Il canto del cigno del femminismo in Italia
autori: Lucetta Scaraffia
formato: Articolo
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​Nel momento in cui le donne scendono in campo e proclamano per la festa dell’8 marzo di quest’anno uno sciopero produttivo e riproduttivo, vale la pena riprendere il filo del discorso su un’altra questione che tocca il corpo della donna, quella dell’utero in affitto. Lo faceva la storica Lucetta Scaraffia in un articolo pubblicato su “Vita e Pensiero” nel n.2 del 2007, ove denunciava il tentativo di cancellare la differenza – basilare in tutte le culture – fra donne e uomini, in nome del «gender». La studiosa, che dirige l’inserto femminile dell’Osservatore Romano “Donne Chiesa mondo” e che da poco ha scritto un libro, Dall’ultimo banco (edito da Marsilio), in cui lamenta come poco sia stato valorizzato il contributo delle donne al Sinodo vaticano sulla famiglia, cui lei stessa ha partecipato, sottolinea fra l’altro l’apporto al dibattito di una delle femministe italiane più note, Luisa Muraro, nel volume L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto (La Scuola editrice). Le cui argomentazioni si rivelano molto diverse da quelle avanzate dal mondo cattolico, perché si muovono all’interno di un’ottica strettamente femminista. «Qui non si tratta di proibire, si tratta di non sbagliare», afferma la filosofa, che vede in questa pratica «un attacco demolitore della relazione materna», cioè di quella relazione che «ha dato un’impronta di civiltà alla convivenza umana». Muraro risponde alle femministe scese in campo a difesa della libera scelta ribadendo che qui invece si tratta «di subordinare la  fecondità a un progetto di altri». Non accetta pertanto di equiparare l’affitto dell’utero ad altre battaglie di libertà proprie delle rivolte femministe degli scorsi decenni.

Commenta a sua volta Scaraffia: “Come ha potuto un movimento che combatteva per la liberazione della donna contribuire alla nascita di una nuova forma di schiavitù femminile? Si tratta di una questione ineludibile, che coinvolge nodi fondamentali, come la definizione dei diritti umani e soprattutto i limiti alla libertà di mercato. Ci sono due caratteristiche di questa operazione che rivelano che si tratta, anche se gratuita, della fabbricazione di un prodotto e non di un legame umano profondo: il fatto che quasi sempre – praticamente non esistono eccezioni – l’ovulo utilizzato per il concepimento non è quello della madre surrogata e, naturalmente, neppure della madre che alleverà il bambino, ma di una terza donna che ha venduto i suoi ovuli. Inoltre, il contratto proposto alla donna che si offre come madre surrogata è una compravendita, si considera il figlio come un prodotto da scegliere e ordinare come a un supermercato, dimenticando volutamente ogni caratteristica umana di questo legame. Bisogna – conclude la storica – leggere questo problema anche alla luce del prossimo futuro, che può riservare la scoperta dell’utero artificiale: forse si stanno solo facendo le prove generali per una definitiva disumanizzazione”.

Sull’argomento la rivista dell’Università Cattolica ha pubblicato anche l’articolo di Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz Teorie sui «generi»: una visione critica, in cui si evidenzia come dal post-femminismo sono nate formulazioni di pensiero che tendono a cancellare le differenze fra uomo e donna (n.1/2006); ​la riflessione di Sylviane Agacinski​ La metamorfosi della differenza sessuale (n. 3/2013) e un testo di Alex Langer, La civiltà senza limiti e la gravidanza in leasing, che identificava nella pratica del commercio di organi e dell’utero in affitto un nuovo sfruttamento dell’uomo (“Vita e Pensiero” n. 2/2016).

 

 

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