Gli immigrati cattolici in Italia dopo Lesbo
![]() Immigrati e cattolici: stranieri in “chiesa” propria
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autori: | Carmelina Chiara Canta |
formato: | Articolo |
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La visita di papa Francesco a Lesbo, insieme al patriarca ecumenico Bartolomeo e all’arcivescovo di Atene Hieronimus II, è occasione per rileggere un intervento di Carmelina Chiara Canta, pubblicato sul n.2 del 2010 di "Vita e Pensiero"; un racconto di frontiere esperite dai migranti non solo nell’attraversare i differenti Paesi ma anche nella quotidianità e nella stessa esperienza di vivere la fede. Canta pone l’attenzione sui migranti cattolici che vivono nelle parrocchie italiane, spesso in maniera invisibile, con poche interazioni con i fedeli italiani. Si convive, si divide uno stesso spazio ma non per questo ci si incontro, ci si ascolta, ci si riconosce.
«In questa fase non è possibile parlare di integrazione piena degli immigrati cattolici nel tessuto religioso italiano. Siamo piuttosto in una sorta di pluralismo religioso interno (“multireligiosità cattolica”); spesso i credenti provenienti da altri Paesi vivono come se appartenessero a confessioni differenti». Eppure fondazione Migrantes ci ricorda che sono 5 milioni gli immigrati che hanno raggiunto il nostro Paese negli ultimi 25 anni; di questi circa 1 milione i fedeli cattolici.
La visita di papa Francesco a Lesbo diventa dunque emblematica nel riaffermare ancora una volta che le migrazioni sono occasione sia di dialogo reale (non di speculazione dialettica) sia di rilettura delle nostre politiche di integrazione e delle nostre pratiche di accoglienza, di “fare spazio”, in un momento storico cruciale. I dati più recenti, infatti, confermano il 21° come il secolo delle grandi migrazioni; dal 1990 al 2013, secondo l’ultimo rapporto di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes (il XXIV), il numero delle persone che hanno lasciato il proprio paese d’origine è aumentato del 50,2%, con un’impennata a partire dal 2000. Con riferimento al medesimo arco temporale e all’Europa, la percentuale di migranti è aumentata del 47,7%.
I migranti di Lesbo sono persone la cui esperienza è fortemente tesa al raggiungimento di una meta sempre più agognata e sempre più irraggiungibile, in un’Europa affaticata e molto spesso insensibile all’ascolto, al riconoscimento di volti e storie, sia alle sue frontiere sia al proprio interno. C’è Lesbo, c’è Idomeni, ci sono tanti spazi/situazioni liminali e poi ci sono le nostre periferie culturali, quelle dove pur convivendo non esistono ancora esperienze di quotidiana convivialità. Ma, come suggerisce Camelina Chiara Canta «le contaminazioni e i cambiamenti non tarderanno a prodursi».
Eugenia Montagnini
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