Teotino: Verso i Mondiali a Rio, culla del futebol bailado
Verso i Mondiali a Rio, culla del futebol bailado
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autori: | Gianfranco Teotino |
formato: | Articolo |
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Nel 1950 il Brasile ospitante perse incredibilmente il titolo contro l’Uruguay: fu una vera tragedia di popolo. Oggi, dunque, deve riprovarci. Mentre la nostra Nazionale arranca, e il nostro calcio mostra crepe negli stadi, nei vivai e nei bilanci.
La prima e unica volta risale a 54 anni fa e ancora non se ne sono fatti una ragione. Doveva essere un pura formalità: dopo una galoppata trionfale di vittorie e gol a grappoli, nell’ultima partita al Brasile sarebbe
bastato pareggiare con l’Uruguay – descritto dalle cronache di allora come tutt’altro che irresistibile – per dare il via alla festa nazionale già organizzata sin nei dettagli per celebrare il previsto trionfo calcistico. Inevitabile che un campionato del mondo organizzato nel Paese del futebol bailado fi nisse con intere giornate di samba, gioia, bellezza e
balli in piazza. Ché poi la festa era già cominciata, tanto che ancor prima della fi nale era stata organizzata una sorta di carnevale di Rio fuori stagione. Ma qualcosa andò storto. All’Uruguay riuscì l’inatteso scherzetto e la prevista sarabanda si trasformò in letteratura. Dopo, però. Perché, prima che tanti grandi e ispirati scrittori si cimentassero nella narrazione degli eventi che ridussero un intero popolo in ginocchio, si dovette tenere la contabilità di un’autentica tragedia nazionale: morti per arresto cardiaco (una decina allo stadio), 34 suicidi (due dentro il Maracanã al fischio finale), 3 giorni di lutto nazionale, persino il successivo tentato suicidio di un giocatore protagonista della finale caduto in depressione. Senza contare gli effetti collaterali, per fortuna molto meno drammatici: come la mancata esecuzione al momento della premiazione finale dell’inno dell’Uruguay perché la banda designata se n’era andata sgomenta; o la decisione della nazionale brasiliana di non disputare nessuna partita nei due anni successivi al tracollo.
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La prima e unica volta risale a 54 anni fa e ancora non se ne sono fatti una ragione. Doveva essere un pura formalità: dopo una galoppata trionfale di vittorie e gol a grappoli, nell’ultima partita al Brasile sarebbe
bastato pareggiare con l’Uruguay – descritto dalle cronache di allora come tutt’altro che irresistibile – per dare il via alla festa nazionale già organizzata sin nei dettagli per celebrare il previsto trionfo calcistico. Inevitabile che un campionato del mondo organizzato nel Paese del futebol bailado fi nisse con intere giornate di samba, gioia, bellezza e
balli in piazza. Ché poi la festa era già cominciata, tanto che ancor prima della fi nale era stata organizzata una sorta di carnevale di Rio fuori stagione. Ma qualcosa andò storto. All’Uruguay riuscì l’inatteso scherzetto e la prevista sarabanda si trasformò in letteratura. Dopo, però. Perché, prima che tanti grandi e ispirati scrittori si cimentassero nella narrazione degli eventi che ridussero un intero popolo in ginocchio, si dovette tenere la contabilità di un’autentica tragedia nazionale: morti per arresto cardiaco (una decina allo stadio), 34 suicidi (due dentro il Maracanã al fischio finale), 3 giorni di lutto nazionale, persino il successivo tentato suicidio di un giocatore protagonista della finale caduto in depressione. Senza contare gli effetti collaterali, per fortuna molto meno drammatici: come la mancata esecuzione al momento della premiazione finale dell’inno dell’Uruguay perché la banda designata se n’era andata sgomenta; o la decisione della nazionale brasiliana di non disputare nessuna partita nei due anni successivi al tracollo.
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