A SCUOLA, RICOMINCIARE SENZA RIMPIANTI

Mai come quest’anno la parola ricominciare si carica di molti significati. Non si tratta, infatti, semplicemente di tornare sui banchi di scuola come tutti gli anni, con tutte le fatiche che questo comporta. Ricominciare, quest’anno, comporta di riflettere sul post-pandemia (se ce la siamo lasciata alle spalle) e di provare a immaginare come dovrà/potrà essere la scuola. La posta in gioco è alta e lascia aperti due possibili scenari.
Il primo scenario è retrotopico. Il concetto di retrotopia è stato introdotto per la prima volta da Bauman, in uno dei suoi ultimi lavori. Il nostro, dice Bauman, è il tempo della nostalgia. Tramontati i miti del progresso che ci facevano sporgere verso il futuro, di fronte alla complessità e alla frammentazione che sono le cifre della nostra situazione sociale e culturale, oggi la tendenza è a tornare indietro, a rimpiangere tempi in cui tutto (almeno così parrebbe) era composto, e quindi tranquillizzante: «la via del futuro somiglia stranamente a un percorso di corruzione e degenerazione. Il cammino a ritroso, verso il passato, si trasforma perciò in un itinerario di purificazione dai danni che il futuro ha prodotto ogni qual volta si è fatto presente» (Z. Bauman, Retrotopia, Roma-Bari: Laterza 2017; XVII). Nel caso della scuola, la retrotopia prende corso nella tentazione di far finta che nulla sia successo, nella volontà di riprendere da dove eravamo rimasti. Gli umori nei confronti della DAD (distruttiva, letale, mai più) sono un sintomo di questo atteggiamento mentale, cui è stato dato supporto anche da molti opinionisti, soprattutto nel web: l’idea in questo caso è quella di una scuola finalmente di nuovo in presenza, senza spazio alcuno per la tecnologia, vista come un male necessario che però finalmente ci si potrà lasciare alle spalle.
Il secondo scenario è quello che maggiormente mi interessa mettere a fuoco. È lo scenario di una scuola che impari dall’emergenza attraverso cui è passata. La lezione si può ricondurre ad almeno tre indicazioni molto chiare.
TRE INDICAZIONI PER IL FUTURO
Prima indicazione: il tempo e lo spazio scuola. Il tempo va flessibilizzato, va smontata la corrispondenza fissa tra ora di lezione, insegnante e disciplina. Lo spazio va disarticolato, conquistando all’apprendimento luoghi urbani abitualmente non pensati per quello scopo. Tanti esempi virtuosi se ne potrebbero portare, conosciuti durante l’emergenza, tra tutti l’esperienza reggiana di una scuola diffusa, estesa all’intero territorio. L’ipotesi è una scuola ad assetto variabile, organizzata per classi aperte, proprio per questo maggiormente disponibile alla personalizzazione.
Seconda indicazione: la didattica. L’insegnamento d’emergenza ha consentito di comprendere l’importanza della progettazione esplicita, della valutazione del carico cognitivo da imporre agli studenti, della mediazione didattica. Il problema non è lasciar da parte i contenuti, o eliminare la lezione frontale: si tratta semplicemente di riflettere su come una corretta impostazione metodologica della lezione consenta anche ai contenuti di essere meglio presentati e appresi. Senza dimenticare la valutazione, da avviare assolutamente verso soluzioni di valutazione diffusa e formativa non solo nel segmento della scuola primaria (come fatto dall’Ordinanza Ministeriale del dicembre scorso) ma anche nella scuola secondaria. Una nuova cultura della valutazione significa una nuova attenzione agli studenti, una nuova centralità dell’errore pensato non come vizio da emendare i punire, ma come opportunità per rendere gli apprendimenti profondi.
Terza indicazione: il digitale. A questo riguardo occorre lavorare alle dotazioni, per eliminare ogni rischio di divario o difficoltà di accesso. Ma occorre lavorare, più in generale, alla realizzazione di una scuola realmente blended, ovvero organizzata in modo flessibile per garantire modelli didattici a elevata variabilità, tra presenza e distanza, ma sempre con l’attenzione ai bisogni di studenti e famiglie e alle specificità dei contesti. Il digitale non è strumento o frontiera del nuovo. Il digitale è parte della cultura nostra e dei nostri ragazzi. Per la scuola, accettarlo e integrarlo non è questione di cambiamento ma di attualità: la scuola ha il dovere di essere contemporanea, non si può permettere di essere inattuale. Passa da qui, dalla sua contemporaneità, la possibilità che riesca a fornire ai ragazzi le chiavi di accesso alla loro cultura.
Pier Cesare Rivoltella
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