A TORINO SE HABLA ESPAÑOL

Il Salone del Libro di Torino è dedicato, nell’edizione del 2019, alla lingua spagnola. Complesso impegno, quello di rappresentare circa 500 milioni di ispano parlanti, 60 di questi in Spagna e il resto nei posti meno immaginati dagli stereotipi, quali la Guinea Equatoriale o il disneyano Miami, dove si leggono cartelli che annunciano: “Se habla inglés”.
All’interno della kermesse, vediamo di presentare alcune figure rappresentative del panorama letterario ispanoamericano e alcune altre emergenti che interverranno a Torino. Fra questi Edurne Portela, di origine basca. Appena laureata all’Università di Navarra è emigrata negli Stati Uniti dove ha fatto una rigorosa carriera accademica in Carolina del Nord e in Pennsylvania. Nel 2016 ha preso una decisione non facile: ha abbandonato la carriera universitaria e gli Stati Uniti per intraprendere la strada delle lettere in Spagna. Il suo romanzo d’esordio, Meglio l’assenza, è stato un grande successo. Come spesso succede con le prime narrazioni, racconta il passaggio dall’infanzia all’età adulta di una ragazza, in un paese basco. S’indovina che la materia raccontata viene dall’esperienza propria e altrui, e che si alimenta della verità: la violenza esterna si interseca con la violenza famigliare, con un linguaggio quasi teatrale, senza indugi nel linguaggio. Molto più convincente di altri romanzi sulla questione basca, quello di Portela merita la diffusione ottenuta.
Un punto d’incontro con Portela lo presenta Miguel Rojo, autore affermato di molti libri: l’identificazione con la regione d’origine. In Rojo, questa identità si manifesta attraverso l’utilizzo in chiave letteraria del dialetto asturiano, sia nei romanzi di più grande respiro che in quelli dedicati all’infanzia. Viene considerato il maggiore autore in asturiano e il suo romanzo Storia d’un seduttore è stato uno dei maggiori successi della sua particolare letteratura.
Un’altra partecipante viene dall’Andalusia. Si chiama Elvira Navarro e il suo successo lo ha ottenuto a Madrid. Autrice molto premiata, ha già pubblicato 4 romanzi, e ha vinto il Premio Jaén, il Premio Tormenta al miglior autore e la distinzione Nuovo Talento Fnac. Il suo ultimo romanzo, Gli ultimi giorni di Adelaida García Morales, opera di finzione che immagina i giorni antecedenti alla morte della nota scrittrice, ha destato forti polemiche su territori delicati, come il rapporto fra biografia e finzione, fra documentazione e immaginazione, fra l’invenzione e la verità.
Altri protagonisti saranno autori molto conosciuti e di lunga traiettoria nelle lettere contemporanee della Spagna. «La mia vita non è la letteratura, ma la felicità dei miei cari», dichiara Antonio Muñoz Molina, con una frase serena e tanto sensata da sembrare provocatoria. Figura centrale della scena letteraria spagnola, Muñoz Molina è la classicità, la serenità dello scrittore riuscito, la densità di chi siede al Olimpo delle lettere ispaniche: una poltrona nella Real Accademia Spagnola. Lontano dalle dichiarazioni roboanti, Muñoz Molina si fa ammirare per la brillante sentenziosità delle sue prese di posizione, frutto di una produzione matura e constante, molto legata alla storia del suo Paese, con un linguaggio preciso, inventivo, diafano.
Poi va segnalato il nome di Enrique Vila Matas. Se si potesse tracciare una ideale linea autoriale, Vila Matas apparterrebbe a quella che va da Borges a Calvino, passando da Handke e Monterroso. La sua letteratura si nutre di letteratura e, molto spesso, le sue opere sono provocatorie messe in questione nell’atto stesso di scrivere, o riflessioni molto intelligenti su autori o personaggi. La sua lingua spagnola è limpida e chiara e, simultaneamente, di insolita profondità. «Ci sono narratori e ci sono scrittori», ha dichiarato. «I narratori sono quelli che raccontano storie, come Stephen King; gli scrittori sono quelli che creano una letteratura».
Infine, segnalo la venezuelana Karina Díaz Borgo, autrice del romanzo rivelazione dell’anno 2018: La figlia della spagnola, romanzo venduto a 22 case editrici di tutto il mondo ancora prima di vedere la luce in spagnolo. Essa fa riferimento all’attualità del suo Paese, da cui manca da 12 anni, con l’elaborazione di una distopia. Nel romanzo non viene mai nominato il Venezuela, e le orde che incombono sulla capitale (nemmeno questa nominata) sono chiamati “i figli della rivoluzione”, ma tutte le recensioni hanno ovviamente colto l’allusione al Venezuela. La storia racconta la vicenda di una ragazza che seppellisce sua madre e che, di ritorno a casa, la trova saccheggiata da delinquenti mascherati da popolo rivoluzionario. In un certo senso, è un romanzo d’avventure, in quanto descrive la disperata impresa di una giovane di scappare da un Paese in preda al terrore e al caos.
Dante Liano
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