And the winner is… il politicamente corretto?

And the winner is… il politicamente corretto?

24.04.2021
di Massimo Scaglioni

Nuova e sempre uguale a sé stessa, la cerimonia che domani sera, per la 93esima volta, attribuirà i ventitré premi più ambiti dal mondo del cinema globale si è trovata, quest’anno, a affrontare sfide inedite. Nel pendolo che oscilla costantemente, nella lunga storia degli Academy Awards, fra tradizione e innovazione, il 2021 dovrà essere annoverato più decisamente fra gli anni del cambiamento. E non si tratta solamente degli inevitabili effetti della pandemia, che si sono fatti registrare su tutte le principali manifestazioni cinematografiche mondiali, Festival in primis, durante tutto lo scorso anno. Con la sale cinematografiche che sono state chiuse per lunghissimi periodi a causa delle conseguenze del Sars-Cov-2 (negli Stati Uniti i theaters sono stati riaperti con maggiore decisione, e sempre adottando protocolli rigidi di sicurezza, dal marzo scorso), gli Oscar sono stati ritardati di un paio di mesi rispetto al calendario abituale – è la quarta volta che accade nella loro storia - e hanno ammesso alle nomination non solo film distribuiti in due diversi anni (il 2020 e i primi mesi del ’21), ma soprattutto anche prodotti usciti direttamente sulle piattaforme di streaming, come Netflix o Amazon Prime Video. Anche questo è il segno di un’industria che cambia.

LE REGOLE DEL POLITICAMENTE CORRETTO E LA DIVERSIFICAZIONE
Al di là di regole e formalità, però, le caratteristiche dei film entrati nella short list delle nomination danno subito il segno di una manifestazione che prova costantemente, anche se talvolta lentamente, ad adattarsi allo spirito del tempo.
Pochi mesi fa hanno suscitato grandi discussioni, negli Usa ma anche all’estero, le nuove regole di “inclusione” introdotte per i film che intendono partecipare alle diverse sezioni dei premi. Queste regole comprendono quattro nuovi standard tesi a valorizzare tanto la rappresentazione quanto la concreta presenza, nei team produttivi, di donne e minoranze. L’aspetto più controverso di queste nuove regole di eleggibilità – per quanto piuttosto articolate e diversamente componibili – è il fatto che l’Academy sembra voler dettare norme che finiscono per riflettersi direttamente sui contenuti dei film (il fatto che si stia pensando all’estensione di queste o simili norme ai film internazionali parrebbe particolarmente problematico per cinematografie che sono, per ovvia forza di cose, impossibilitate a riflettere, per esempio, il tipico melting pot nordamericano…).

L’elemento più curioso della vicenda è però un altro: le norme improntate al “politicamente corretto” di molta cultura americana contemporanea entreranno in vigore solamente nel 2024. Eppure, senza bisogno di interventi normativi così pesanti che impattano anche sul piano strettamente creativo ed artistico, e forse solamente grazie al semplice ampliamento e alla “diversificazione” (anche in ottica di gender e origine etnica) della platea dei quasi diecimila votanti dell’Academy, avvenuta in questi anni, già ora, nel 2021, il novero dei film entrati nelle nomination è il più variegato e “diverso” di sempre: ben settanta donne (fra cui diverse registe) hanno ricevuto un totale di settantasei nomination, e nove delle venti dedicate agli attori sono andate a persone di colore. Insomma, anche questo un bel segno di un cambiamento in corso, per un cinema americano che cerca di riflettere sempre più fedelmente una realtà e una cultura plurale.

E difatti, a scorrere le noms, verrebbe subito da pensare che l’Oscar è, forse più di altre manifestazioni culturali, decisamente poroso rispetto ai movimenti sociali che più hanno caratterizzato l’America contemporanea: Me too, da un lato, con le annesse rivendicazioni di maggiore centralità per le donne, e Black Lives Matter, teso a contrapporsi alle ancora fortissime diseguaglianze (e al razzismo) che affliggono la comunità afro-americana a tanti anni di distanza dalle lotte per i diritti civili.

I CANDIDATI PER LE STATUETTE PIÙ IMPORTANTI
Al di là delle specifiche richieste politiche e dell’origine di questi movimenti, la loro influenza sul piano culturale è evidentemente forte, come dimostrano i candidati per la statuette più importanti di quest’anno. Fra queste, Judas and the Black Messiah, nominato come Best film, diretto dal giovane Shaka King, ricostruisce la storia vera di Fred Hampton (interpretato da Daniel Kaluuya), leader del Black Panther Party dell’Illinois, ucciso a ventuno anni, nel 1969, da un commando della polizia dello Stato. Probabilissimo vincitore del premio come miglior attore maschile sarà, post mortem, l’efficacissimo Chadwick Boseman, protagonista del film Ma Rainey’s Black Bottom (diretto da George C. Wolfe), racconto di impianto nettamente teatrale, che ci riporta a una turbolenta sessione di registrazione del primo disco della cantante blues Ma Rainey, sempre a Chicago, nel 1920. Fra i candidati a miglior film, due sono costruiti dall’occhio femminile: si tratta di Nomadland (di Chloé Zhao, filmmaker sino-americana) e Promising Young Woman (diretto da Emerald Fennell). Sia Zhao sia Fennell – due donne su cinque, dunque – sono candidate come migliori registe, segno di rilevanti trasformazioni nell’industria oltre che nelle politiche della rappresentazione.

In questo quadro di cambiamento certamente positivo, emergono però anche alcuni elementi di riflessione. Se non sono norme e quote a garantire una rappresentazione pluralistica della realtà anche al cinema, come si è detto, l’attenzione costante al “politicamente corretto” non è ovviamente garanzia della effettiva qualità dei film, il che può essere problematico per una premiazione. L’Oscar 2021 non presenta – fra i film più nominati – degli autentici capolavori.

I film più riusciti – a parere di chi scrive – sono il citato Nomadland – che è giustamente dato per (quasi scontato) vincitore e può portare a casa diverse statuette – e il piccolo film diretto da Darius Marder per Amazon Prime Video Sound of Metal. La cultura contemporanea sembra così ossessionata dai luoghi comuni del politicamente corretto da rischiare di mettere in secondo piano tematiche altrettanto sensibili e urgenti. Nomadland e Sound of Metal rappresentano due emozionanti viaggi in un’America profondamente marginale: il primo, interpretato da una straordinaria Frances McDormand, già vincitore del Leone d’oro alla 77esima Mostra dell’Arte Cinematografica di Venezia, ci porta a girovagare per gli Stati Uniti fra persone che, più per costrizione che per scelta, si ritrovano a vivere da nomadi moderni, in un peregrinare fisico ed esistenziale in un Paese che pare non trovare più una sua “nuova frontiera”. Sound of Metal è non solo un toccante racconto sulla disabilità, ma anche un apologo sulla dolorosa capacità di “diventare sé stessi”. Va infine osservato – elemento non marginale nel giudicare un prodotto cinematografico, a prescindere dal “ricatto del contenuto” o dall’osservanza più o meno rigida dei dogmi della politically correctness – che questi ultimi sono anche due ottimi film. Ma per trovare frammenti di bellezza vale la pena guardare anche alle categorie più tecniche: all’entusiasmante animazione a suon di jazz di Soul o a quella ecologista di Wolfwalkers, alla salutare irriverenza di Borat Subsequent Moviefilm, alla scioccante sequenza iniziale di Pieces of a Woman (col corpo in primo piano di Vanessa Kirby), alla fotografia in bianco e nero di Mank e a quella di News of the World, all’attualissimo, potente documentario rumeno Collective.
E, comunque vada, vincano i migliori.


Massimo Scaglioni

Massimo Scaglioni insegna Storia dei media ed Economia dei media alla Facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. È responsabile del Ce.R.T.A. (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi) e direttore del Master “Fare TV. Gestione, Sviluppo, Comunicazione”. Ha pubblicato numerose monografie e articoli sulla storia del broadcasting. È membro dell’editorial board delle riviste "View. Journal of European Television History and Culture", Comunicazioni Sociali, "Bianco e Nero", “Series”. È stato visiting professor presso Carleton University, Ottawa (Canada). Collabora con il Corriere della Sera. È attualmente principal investigator di un progetto di ricerca di interesse nazionale (Prin) sulla circolazione internazionale del cinema italiano.

Su VP Plus, il quindicinale online della rivista Vita e Pensiero, ha pubblicato gli articoli Aspettando gli Oscar 2020, Sanremo decostruito (da Sanremo), Nuovo Cinema Netflix, La religione (e l'Italia) come "brand".


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