Armida Barelli tra guerra e pace: «lei amava l'Italia degli ulivi»

Armida Barelli conosce da vicino la guerra, i guasti morali che si aggiungono alle morti e alle distruzioni. Ha vissuto la prima guerra mondiale, impegnandosi in prima persona nel portare conforto spirituale a chi l’affrontava, partecipando all’Opera per la Consacrazione dei soldati al Sacro Cuore. Non ama certo la guerra. Se mai è la nota patriottica che la porta a pregare per la “pace vittoriosa” e a soffrire per le sanzioni contro l’Italia nel 1935 ai tempi della guerra d’Etiopia. Ma vi è anche in lei l’esplicita preoccupazione per “mantenere la pace” perché sia “evitato un conflitto mondiale”.
Nota la sua biografa, Maria Sticco, che la Sorella Maggiore cita su “Squilli di Risurrezione” il discorso mussoliniano del 5 maggio, non quello del 9, che proclamava, «dopo 15 secoli, la riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma». Le parvero «parole superbe e incaute. Lei amava l’Italia degli ulivi, non quella delle aquile». Scrivendo alle sue giovani ricorda che «come avevano voluto essere prime nella preghiera, prime nei sacrifici, prime nell’unione spirituale con la patria, così ora dovevano essere prime nel ringraziare per la cessazione della guerra e per ottenere la concordia di tutte le nazioni». Si illude, come molti del resto, dopo la guerra in Etiopia che: «Un’alba di pace è sorta sulla patria nostra, un’alba che è preludio di una bellissima aurora, quella della pace nell’Europa e nel mondo intero» (così scrive nel maggio 1936). Le cose andranno diversamente.
Le vicende della guerra di Spagna tra il 1937 e il 1939, con le azioni violente contro clero, religiosi e laicato cattolico accentuano questa chiave di lettura, che conduce a considerare l’invio dei volontari fascisti a fianco di Franco parte di una “crociata per la libertà della Chiesa”.
Nella seconda metà degli anni ’30, Pio XI torna più volte a denunciare la politica antireligiosa del Führer; alla vigilia del Natale 1937 parla di una vera persecuzione religiosa in atto in Germania, «alla quale non mancano né il prevalere della forza, né la pressione della minaccia, né i raggiri dell’astuzia della finzione». In Italia, in virtù del Concordato, la situazione era diversa, anche se Mussolini, già nel 1929, aveva ricordato alla Chiesa che essa «non aveva più di fronte un regime “demo-liberale” ma uno “fascista” e “totalitario”, “intrattabile” sulla questione dell’educazione giovanile», su cui nel 1931 vi sarà un duro contrasto con il regime che farà chiudere i Circoli dell’Azione Cattolica.
La seconda guerra mondiale: verso l’entrata in guerra
Le diffidenze vanno aumentando in seguito all’avvicinamento dell’Italia alla Germania nazista e alle leggi razziali. Il 12 marzo 1938 la Germania si annette l’Austria e il 13 proclama da Berlino l’Anschluss. Per i cattolici è sempre più evidente la pressione verso una declinazione nazionalistica e non universale della religione, l’affermazione di una statolatria pagana.
Nella drammatica esperienza che segna l’Italia dalle leggi razziali alla guerra e alla resistenza, la Gioventù Femminile di Armida intensifica la vita spirituale e la riflessione sul tema della pace: l’esortazione all’obbedienza alla patria, al coraggio e alla fiducia, si accompagna all’impegno per la preghiera e il sacrificio. Il desiderio e la preghiera per la pace non abbandonano mai la GF.
Il 1° settembre 1939 viene invasa la Polonia. Pur non essendo l’Italia ancora coinvolta nella guerra, Armida si rivolge alle socie della GF: «In altre nazioni vi è la guerra, e noi non dobbiamo egoisticamente godere della nostra pace, ma pregare e offrire sacrifici perché la guerra cessi nelle altre nazioni». Si riferisce poi alle sanzioni: i sacrifici per la patria vanno fatti ma non in un’ottica nazionalistica. Scrive: «accettatele senza lamentarvi, anzi siate liete di poter offrire qualche cosa al Signore per ottenere la pace mondiale».
Barelli non rinuncia a pronunciarsi sui fatti che accadono. Sa che formazione è anche esprimere un giudizio, dettare un orientamento. Certola Barelli non ha mentalità politica e, per sua stessa cultura ed estrazione familiare, in lei è forte la vena patriottica. Ma è ben riconoscibile la premura per quel tema della pace che sarà il leit motiv del cattolicesimo durante la Seconda guerra mondiale e che non a caso costituirà un elemento capace di contribuire se non al crollo, certo al calo di consenso verso il regime.
Il 24 agosto 1939, è il nuovo pontefice, Pio XII, a lanciare in un radiomessaggio alla vigilia della guerra un monito: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra».
Armida con la GF sostiene la devozione alla Madonna di Fatima, che il nuovo pontefice Pio XII ha richiamato di fronte all’aggravarsi delle tensioni in Europa. La reazione all’annuncio dell’entrata in guerra dell’Italia è indicativa del giudizio e della linea entro cui la Barelli orienta l’associazione: non è certo tra coloro che esultano, anzi esclama: «“Quale errore!” fu la parola che mi uscì dalle labbra. Disgraziato, povera Italia nostra! Se potessimo chiamare a raccolta tutto il popolo italiano sono sicura che griderebbe: “No, noi la guerra non la vogliamo”. Ma il popolo era in catene... e protestare e dissentire voleva dire farsi sopprimere dal fascismo».
La crisi del regime si accompagna al graduale distacco di fasce sempre più larghe della popolazione iniziato nel 1938-39 con le leggi razziali e accentuatosi negli anni della guerra. Si registra così un cambio di atteggiamento, ben simboleggiato dal passaggio dalle preghiere per la vittoria dell’Italia a quelle per la pace. Ma è un processo lungo e non immediatamente colto a livello di massa, dovendosi misurare con un consenso ancora ampio verso il regime che registra, specie sui toni patriottici, anche l’adesione di tanti cattolici.
Anche in questa fase, la lettura religiosa prevale su quella propriamente politica. Dopo l’8 settembre 1943 Armida sostiene l’impegno di tante giovani donne che non esitano a rischiare personalmente per sostenere la lotta di liberazione e operare nella vita quotidiana per alleviare i tanti bisogni indotti dalla guerra, dai bombardamenti, dall’occupazione e dalle repressioni nazifasciste. Continua ad operare anche dopo il bombardamento che nell’agosto del ’43 danneggia pesantemente gli uffici della GF e dell’UC, e poi durante le perquisizioni della polizia fascista che cerca partigiani ed ebrei. Si impegna per garantire la continuità della vita associativa in una Italia spaccata in due, e a mantenere i collegamenti con le responsabili locali, la pubblicazione della stampa con mezzi di fortuna, raddoppiando gli sforzi per continuare il sostegno spirituale e porre le basi per quella “rigenerazione interna dei costumi” che sarà indispensabile per la ricostruzione.
La rinascita democratica
Tra le macerie materiali e morali della guerra, comincia una nuova fase della presenza dell’associazionismo femminile che – nell’alveo dell’AC – diviene protagonista della rinascita democratica. Confermata dal Papa nella responsabilità centrale della GF e poi nella vicepresidenza generale dell’AC, negli anni cruciali che vanno dalla sconfitta del fascismo all’entrata in vigore della Costituzione, Armida ancora una volta – nonostante l’età e le condizioni di salute – si impegna a fondo, con una rinnovata attenzione alla dimensione sociale e politica nuovamente agibile dopo il crollo della dittatura. È sicura che per questa strada si possa assicurare all’Italia un avvenire di pace. Si esprime nel sostegno alla legge che finalmente riconosce il diritto di voto alle donne.
Decisivo il lavoro della GF, che si impegna intensamente per le elezioni per la Costituente e il referendum istituzionale, ma anche per le amministrazioni locali. Con quale spirito e in quale prospettiva, lo spiega chiaramente Barelli: che fare quando «la guerra delle armi è finita ma non c’è ancora la pace degli animi?». Occorre intensificare la vita interiore, dando l’esempio di una “vita cristiana vissuta al cento per cento”. Chiede inoltre la “partecipazione alla vita sociale” ora che è stato concesso il voto alle donne:
«dobbiamo prepararci […] per esercitare i nostri doveri di cittadine in ordine alla vita politica, amministrativa e sindacale». […] Siamo una forza in Italia noi donne: su cento voti 47 sono per gli uomini 53 per le donne: se noi siamo concordi possiamo mandare al potere coloro che difenderanno la religione e la Chiesa, la famiglia, la scuola e la patria. Unite nella preghiera e nel lavoro, nel ringraziamento e nel sacrificio, continuiamo a lavorare per l’avvento del Regno di Dio».
Ernesto Preziosi
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