Biblioteche scolastiche? Dove nascono le sensibilità civili

di Simone Biundo
Giuliano Vigini nel numero 38 di Vita e Pensiero Plus ha descritto una situazione impietosa per le biblioteche scolastiche italiane: la spesa media in ogni scuola per l’acquisto di libri equivale a 0,37 centesimi a studente, le ore medie di apertura delle biblioteche sono di 3 h e 34' e del personale addetto solo il 5% sono bibliotecari, mentre la superficie media è pari a 57 mq, con soli 15 posti a studente.
Le biblioteche scolastiche sono, nella maggior parte dei casi, abbandonate a se stesse. Eppure, in quale luogo se non in una biblioteca e tanto più in una biblioteca scolastica può germogliare l’educazione alla lettura? Proprio qui potrebbe nascere una propensione alla conoscenza e al piacere scevra dagli obblighi dei programmi scolastici. Sarebbe inoltre opportuno dedicare un’ora curricolare alla settimana, come accade in altri paesi, alla lettura, ad alta voce o silenziosa, o al dibattito su libri, articoli, giornali, alla frequentazione di uno spazio pubblico.
Per permettere a quest’ipotesi di farsi realtà sarebbe necessaria una biblioteca attrezzata e aggiornata, un luogo confortevole e polivalente, e almeno un bibliotecario a plesso, cioè un «filtro», come ha scritto Ortega y Gasset in La missione del bibliotecario, «che si interpone tra il torrente dei libri e l’uomo», con il compito determinante di promuovere la lettura con strategie che variano a seconda del contesto in cui si trova, di creare un circolo virtuoso, tra insegnanti, studenti e famiglie, di letture, incontri, spazi di discussione, condivisione e scoperta.
Eppure, nella maggior parte dei casi, se ci sono, le biblioteche sono ambienti angusti, bui, polverosi, disorganizzati e sono gli insegnanti stessi che, tra mille difficoltà e intoppi burocratici ed economici, cercano di tenere in piedi l’istituzione, dandosi il compito di bibliotecari volontari.
Il dibattito è vivo da tempo: Nicola Lagioia su “Repubblica” (ora disponibile su «MinimaetMoralia») aveva lanciato una sorta di manifesto per una battaglia politica sulla lettura, in vista delle elezioni politiche del 2018, e Christian Raimo, su «Internazionale», prendendo spunto dai dati Istat 2016, aveva ragionato su una serie di interventi sul modello del Plan de fomento de la lectura in Spagna, una legge del 2007 che aveva creato un osservatorio permanente e un programma articolato, auspicando programmazione e sistematicità.
Ma, ad oggi, non si è fatto nulla e né programmazione né sistematicità sono possibili senza investimenti economici, culturali e politici. Nella scuola dove insegno, una Scuola Secondaria di Primo grado di Genova, non solo non c’è il bibliotecario ma non c’è neppure la biblioteca. I pochi libri sono dispersi lungo i corridoi in mobili aperti, destinati a una rapida e triste dissipazione.
Qui interviene, di solito, la buona volontà del docente e del dirigente. Ma per chi, come me, è precario, costruire qualcosa di duraturo è impossibile. Se è un azzardo programmare la didattica per l’anno successivo, perché la probabilità di cambiare classe e scuola è altissima, risulta chiaramente impossibile dedicare tempo a un’attività che non solo di ore ha bisogno ma di assoluta dedizione, e denaro.
Nessun luogo sarebbe necessario in una scuola come una biblioteca. In un mondo dove lo spazio della lettura è talmente fluido da apparire inesistente, ritrovare un luogo adatto e dedicato dove leggere ed esprimere i pensieri, dove la pratica della lettura possa nascere ed esprimersi come atto consapevole, dove le pervasive e continue vicende esterne rimangano almeno per un’ora al di fuori dell’hortus conclusus è l’unica possibilità per una vera rinascita della lettura.
«Siedo e leggo un poeta» ha scritto Rainer Maria Rilke ne I quaderni di Malte Laurids Brigge. E continua:«Nella sala c’è molta gente, ma non si avverte. Sono nei libri. A volte si muovono tra le pagine, come persone che dormono e si rigirano tra due sogni. È bello stare in mezzo a uomini che leggono. Perché non sono sempre così?»
Per far rivivere la letteratura è necessario dare fiducia ai testi, farli risuonare, respirare. Omero, Dante, Montale per essere compagni della quotidianità dovrebbero essere letti non solo nelle aule ma in un ambiente franco, atto a predisporre al fascino delle parole e delle storie di opere a cui, per essere amate, è solo necessario ridare vita e voce. Sono gli stessi ragazzi a chiederlo, tanto che quando si creano queste condizioni gli alunni reagiscono bene, s’impadroniscono del testo, ne sono avvinti fino a risemantizzare, ed è il miracolo della letteratura gestita nel rapporto docente e studente, i loro stessi ruoli codificati.
Chi legge con impegno e lucidità è disposto ad ascoltare il pensiero di un altro da sé, le sue parole, la sua sintassi, ha la pazienza di giocare un gioco non suo e la speranza di incontrare un piccolo amico sulla strada intrapresa. Chi legge può imparare a convivere.
La scuola è il luogo dove si forma la società e dove nascono le sensibilità civili: e la condivisione di un luogo pubblico, il repertorio ordinato delle parole di chi ci ha preceduti, la gratuità di un libro, la possibilità di scambiarlo, il piacere di usarlo e il dovere di conservarlo con attenzione possono essere non solo una forma di resistenza all’ignoranza, alla dissoluzione dei saperi e della ricerca; ma anche un ponte verso la piena consapevolezza dell’importanza del bene comune, unica forma di esistenza per una civiltà matura o che ha l’ambizione di esserlo.
Simone Biundo
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