Buon FantaSanremo a tutti!

Buon FantaSanremo a tutti!

05.02.2022
di Roberto Presilla

Chi si è dedicato a seguire il Festival di Sanremo – l’appuntamento nazional-popolare per eccellenza – avrà forse notato che molti cantanti hanno augurato “buon FantaSanremo!” al pubblico.

Il riferimento è a quello che l’omonimo sito web definisce «l’unico e inimitabile fantagiuoco riguardante il Festivàl di Sanremo consistente nell’organizzare e gestire squadre virtuali formate dagli artisti in gara». Chi vuole giocare deve spendere una fantavaluta (i FantaBaudi, omaggio all’inossidabile conduttore televisivo) per acquistare una squadra composta da artisti che gareggiano a Sanremo. Le quotazioni sono pubblicate sul sito: i punti derivano dalla performance degli artisti e da eventuali imprevisti, che spesso si verificano al Festival.

Nato nel 2019, il gioco ha avuto una crescita impetuosa e oggi vanta diverse centinaia di migliaia di squadre in lotta fra loro, il che ha permesso di attrarre sponsor importanti. Il formato è ovviamente ispirato a quello dei fantasport, come il fantacalcio, il fantaciclismo ecc.; ogni squadra riceve punti e penalità (bonus e malus) basati su ciò che accade sul palco, con scelte per lo più divertenti: per esempio, 50 punti vengono assegnati al primo classificato, ma un artista ne può vincere 100 (bonus Jacobs) se corre 100 m sul palco in meno di 9,80 secondi. È evidente il sapore goliardico, visto che sono previsti anche eventi piuttosto improbabili: forse qualche bonus/malus si adatta più al contesto della serata tra amici che a un concorso pubblico, ma tant’è.

Mondi possibili... con un'origine americana
Come gli altri fantasport, il FantaSanremo è l’ennesimo adattamento di un’invenzione americana.
I fantasy sports sono tutti figli del rapporto intenso, di reciproco rispecchiamento, tra gli Stati Uniti e il “passatempo nazionale” per antonomasia, il baseball, definito per l’appunto the National Pastime già durante la guerra di Secessione. La moda di simulare partite di baseball a tavolino si diffuse a partire dal 1868 e ricevette grande impulso dalla comparsa delle pagine sportive sui quotidiani, alla fine dell’800. Negli anni ’30 del secolo scorso fu la volta di un gioco da tavolo – intitolato per l’appunto National Pastime – e nel 1980 nacque il diretto ispiratore dei fantasport successivi: un gruppo di giornalisti sportivi, che si ritrovava a pranzo al ristorante La Rotisserie Française a New York, immaginò di creare un campionato virtuale in cui ciascuno potesse creare squadre con i suoi giocatori preferiti.

Il rotisserie baseball, così come è chiamato ancora oggi, si diffuse rapidamente anche grazie allo sciopero del 1981, che cancellò quasi metà della stagione regolare, dato che in assenza di altre notizie i giornalisti scrivevano del loro passatempo. La base del gioco è rigorosamente statistica: le performance dei giocatori sono registrate, sostanzialmente con lo stesso formato, da oltre 150 anni.

L’esempio del baseball è stato seguito dal basket e dal football americano. E poi da una serie di altri sport, compreso appunto il fantacalcio, che però nella versione legata a “La Gazzetta dello Sport” si basava sui voti del quotidiano sportivo (e quindi, secondo molti tifosi, sulle ovvie simpatie del giornale: c’è ancora chi si ricorda dell’intoccabile Franco Baresi, un 7 garantito se scendeva in campo!). Oggi quella dei fantasy sports è un’industria vera e propria: nel 2017 il mercato nordamericano, secondo IPSOS, valeva più di 7 miliardi di dollari (circa 300 aziende) e coinvolgeva circa 70 milioni di partecipanti. A questi numeri nel mondo si devono aggiungere quelli europei e indiani (qui è il fantacricket a farla da padrone).

Insomma: un altro esempio di quell’universo virtuale in cui costruiamo, a partire dalla realtà, mondi fantastici… o, come direbbero i logici, mondi possibili. La domanda da fare al lettore adesso è: si tratta di una nuova modalità di fruizione, sfruttabile per far crescere l’interesse attorno al festival e all’industria discografica, o è l’ennesima conferma che la tradizione culturale italiana è sempre più contaminata da modelli culturali di oltreoceano? Posta così, l’alternativa non ha molto senso, dato che l’evoluzione della cultura passa sempre per l’ibridazione. Però forse non sarebbe male se anche da questo venisse un minimo di riflessione sull’Italia che siamo diventati. O forse anche questa è una fantasticheria…

Roberto Presilla

Roberto Presilla è docente di Filosofia contemporanea presso la Pontificia Università Gregoriana ed è direttore del Forum delle Associazioni Familiari. Si occupa di questioni legate al significato e alla formazione della mentalità. Tra le sue pubblicazioni: Significato e conoscenza. Un percorso di filosofia analitica (2012). È membro della redazione della rivista dell'Università Cattolica "Vita e Pensiero".

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