CLASSICO = ANTICO? AL CINEMA E IN TV

CLASSICO = ANTICO? AL CINEMA E IN TV

11.11.2017

di Aldo Grasso

Di cosa parliamo quando parliamo di un classico del cinema? A differenza della letteratura, la classicità per il cinema sembra essere una questione legata al tempo. Superati i vent’anni, qualsiasi pellicola diventa un classico, indipendentemente dal suo valore; quelle in bianco e nero, poi, sono visibili solo in quanto baciate dalla polvere della classicità. Ovviamente questa nozione di classicità è un espediente puramente commerciale o nostalgico, non legato al valore intrinseco dei film.

Stessa cosa per la televisione. Un programma diventa classico (ma nel gergo televisivo si dice cult) quando viene frantumato nel ricordo di “Techetechetè”.

Che cos’è un classico del cinema o della televisione? Potremmo utilizzare una celebre definizione di T. S. Eliot, a proposito della letteratura. Sosteneva il poeta che un classico è il prodotto di una “civiltà matura”; la sua maturità è caratterizzata dalla “consapevolezza della storia” e si manifesta come maturità di linguaggio. Anche Italo Calvino aveva steso una sorta di decalogo per “riconoscere” un classico. Ne riporto una voce: “Un classico è un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso”.

Per quanto riguarda il cinema, la classicità è, prima di tutto, una prerogativa hollywoodiana e, per quanto mi riguarda, il primo regista con cui fare i conti è John Ford. Personalmente amo così tanto i western di Ford, nella loro oltraggiosa classicità, da trovare inadeguate persino le riletture di Sergio Leone.

Più difficile definire cosa sia classicità per il “piccolo schermo” (definizione classica), anche perché la televisione si offre sempre come un formidabile campo di prova di un principio epistemologico: quello che oggi appare volgare domani potrà tramutarsi nel suo contrario o viceversa. Legge fondamentale: se cambia il punto di vista cambia anche il testo. Oggi è cult ciò che ieri era trash.

Comunque, quando rivedo per l’ennesima volta “L’uomo che uccise Liberty Valance” mi torna sempre in mente una preziosa indicazione di Giuseppe Pontiggia: “Che i classici siano nostri contemporanei è un conforto idealistico e una menzogna pubblicitaria... Non sono nostri contemporanei, siamo noi che lo diventiamo di loro”. Questo succede anche con il cinema. A volte, anche con la televisione.

Aldo Grasso

Aldo Grasso è professore ordinario di Storia della radio e della televisione presso l’Università Cattolica di Milano. Dal 2008 è direttore scientifico di Ce.R.T.A. (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi) dell’Università Cattolica.
Dal 1990 è critico televisivo ed editorialista per il «Corriere della sera». Ha diretto i programmi radiofonici della Rai nella stagione ricordata come “dei professori” (1993-1994).
Ha condotto alcuni programmi televisivi e radiofonici, tra cui un’edizione di Tuttilibri e la fortunata serie A video spento, che ha inaugurato la critica televisiva alla radio.

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