Crocifisso e laicità: ma c'è davvero conflitto?

Crocifisso e laicità: ma c'è davvero conflitto?

03.07.2021
di Anna Sammassimo

È in contrasto con il principio di laicità dello Stato italiano l'esposizione, in un luogo pubblico, di un simbolo religioso, qual è, appunto, il crocifisso? È questa la questione che, ancora una volta, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono chiamate a dirimere a breve.

Il caso è il seguente. Un insegnante di materie letterarie presso un Istituto professionale di Stato, per rimanere fedele alle proprie convinzioni, durante le sue ore di lezione, aveva provveduto sistematicamente, in “autotutela”, a rimuovere il crocifisso dalla parete, per riappenderlo al termine delle stesse. Sospeso dall’insegnamento per 30 giorni, si è rivolto al Tribunale civile lamentando il contrasto della condotta dell’Istituto scolastico con la propria libertà di coscienza, di religione e di insegnamento, con il principio di laicità dello Stato, con il carattere “aperto a tutti” della scuola e con il diritto a non essere discriminato in quanto lavoratore.

La vicenda riapre una querelle particolarmente accesa negli ultimi decenni e frequentemente portata all’attenzione dell’opinione pubblica dai mass media. L’obbligo di esposizione del crocifisso in alcuni luoghi pubblici, come le aule scolastiche e giudiziarie, è sancito ancora oggi, in Italia, da una molteplicità di circolari e direttive. La dottrina si è a lungo interrogata sulla legittimità di tali norme regolamentari ma la Corte Costituzionale, investita della questione nel 2004, non è entrata nel merito limitandosi a dichiarare la inammissibilità della questione. Questo, però, non ha acquietato gli animi di quanti ritengono che il suddetto obbligo sia in contrasto con il principio di laicità dello Stato.

Quanto a quest’ultimo profilo, nessun articolo della nostra Costituzione dichiara esplicitamente che l’Italia è una Repubblica laica. È stata la Corte costituzionale, in diverse sentenze emesse dagli anni Ottanta in poi, ad affermare e ribadire che la laicità costituisce un “principio supremo” dell’ordinamento italiano in base agli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della stessa Costituzione. Ciò non significa che lo Stato italiano è indifferente nei confronti del fenomeno religioso né, tanto meno, che gli è ostile ma che è neutrale, nel senso di equidistante ed imparziale nei confronti di tutte le confessioni religiose, ferma restando la possibilità di regolare bilateralmente e quindi in modo differenziato, nella loro specificità, i rapporti con la Chiesa cattolica tramite lo strumento concordatario (art. 7) e con le confessioni religiose diverse da quella cattolica tramite le intese (art. 8).

Tale differenza di trattamento è non solo perfettamente compatibile ma finanche giustificata dal principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 della Costituzione, il quale esige che siano regolate in maniera uguale situazioni uguali ed in maniera diversa situazioni diverse, con la conseguenza che un’eventuale disparità di trattamento trova giustificazione nella diversità delle situazioni disciplinate. È innegabile che la situazione della Chiesa cattolica, in Italia, per motivi storici, culturali e sociali prima ancora che religiosi, sia ben diversa da quella delle altre confessioni religiose.

Lo ha affermato, proprio con riferimento alla questione del crocifisso, anche il Consiglio di Stato nel 2006, in risposta ai genitori (sig.ri Lautsi) di due studenti di un istituto scolastico di Abano Terme, che volevano per i propri figli un’istruzione senza riferimenti religiosi e si erano rivolti ai tribunali amministrativi per chiedere la rimozione del crocifisso dalle aule delle classi dei due ragazzi. La sentenza del 13 febbraio 2006 ha infatti ritenuto non esservi contraddizione fra i principi costituzionali e l'esposizione del crocifisso, che esprime e veicola, «in chiave simbolica ma in modo adeguato, l'origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell'autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione» che delineano «la laicità propria dello Stato italiano». I genitori si sono allora rivolti alla Corte europea dei diritti dell’Uomo e la Grande Camera ha affermato che non contrasta con la libertà di pensiero, coscienza e religione tutelata dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo la decisione italiana di perpetuare la tradizione dell'esposizione del crocifisso, in quanto essa rientra nel potere discrezionale dello Stato, in considerazione anche della varietà e della vastità delle posizioni e delle sfumature che connotano la laicità in Europa (sentenza del 18 marzo 2011). In particolare, la sentenza ha sostenuto che l’esposizione in un’aula scolastica di un simbolo religioso come il crocifisso, pur potendo non essere condiviso a livello soggettivo, non costituisce di per sé una lesione della libertà educativa dei genitori, né persegue uno scopo di indottrinamento nei confronti degli alunni, in quanto trattasi di un simbolo essenzialmente “passivo”, al quale non può essere attribuita l’influenza che potrebbe avere un discorso dell’insegnante o la partecipazione ad attività religiose.

Nella medesima settimana in cui la Grande Camera della CEDU si pronunciava sul Caso Lautsi, le Sezioni Unite della Cassazione decidevano il “caso Tosti”, un giudice che si era rifiutato di tenere udienza perché nell’aula era appeso il crocifisso, respingendone il ricorso sulla base dell'assenza di interesse ad agire, dal momento che al giudice era stata concessa la possibilità di tenere udienza in un'aula priva di crocifisso e questo rendeva, secondo la Corte, insussistente la lesione del suo diritto soggettivo di libertà religiosa.

A breve vedremo come deciderà il Supremo Consesso il ricorso dell’insegnante. Certo sarebbe paradossale che proprio nel momento in cui l’Italia sperimenta una situazione di pluralismo e di multiculturalismo, il Giudice italiano ritenga che il crocifisso, elemento da sempre presente nella nostra identità, religiosa e culturale, debba essere rimosso dalle aule scolastiche perché in grado di ledere la coscienza di chi non crede o crede ad altro. Al proposito mi piace ricordare che, nel 1929, la Chiesa cattolica è stato il primo ordinamento verso il quale il Regno d’Italia “si è aperto” e con il quale ha stipulato un Trattato: ora che internazionalizzazione e globalizzazione hanno assunto dimensioni all’epoca sconosciute ed inimmaginabili, non si dovrebbe rinnegare quei sentimenti comuni il cui riconoscimento avevano dato inizio alle relazioni internazionali del nostro Paese.

Il crocifisso, com’è pacificamente riconosciuto, non impedisce affatto che a scuola sia garantito e promosso il libero confronto delle idee e delle diverse visioni del mondo, anche religiose. Come ha sottolineato la Grand Chambre, la natura “passiva” del simbolo vale ad escludere che possa far cadere in errore l’alunno, in una fase delicata della sua formazione e non dotato dello spirito critico proprio di una persona adulta e matura: a maggior ragione bisogna escludere che possa cadere in errore l’insegnante, certamente non privo delle suddette qualità.

Una domanda (che è anche una provocazione): l’insegnante, coerentemente alle sue convinzioni, ha mai contestato le vacanze Natalizie o quelle Pasquali?

Anna Sammassimo

Anna Sammassimo è ricercatrice di Diritto canonico ed ecclesiastico all’Università Cattolica di Milano e avvocato della Curia Romana. Ha ottenuto l’Abilitazione Scientifica Nazionale alla seconda fascia nel 2015. Tiene da diversi anni seminari di diritto matrimoniale canonico, sostanziale e processuale, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica. Membro del Comitato di redazione di Jus. Rivista di scienze giuridiche, è autrice di varie pubblicazioni a carattere scientifico.

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