GRECIA: LA CRISI INFINITA

GRECIA: LA CRISI INFINITA

22.09.2018

di Luigi Campiglio

Il 20 agosto i vertici dell’Unione Europea hanno celebrato la fine di otto anni di commissariamento della “troika” (BCE, Commissione Europea, e Fondo Monetario) con solenni dichiarazioni. Moscovici, commissario agli Affari Economici, ha dichiarato che “da oggi la Grecia sarà trattata come ogni altro paese europeo” mentre Junker, presidente della Commissione Europea ha affermato che “il popolo greco inizia un nuovo capitolo della sua leggendaria storia, e troverà sempre in me un alleato, un partner e un amico”. Tsipras, il primo ministro greco, ha fatto eco, annunciando “nuove battaglie da affrontare …per ridefinire il futuro come un normale paese europeo”: è stata tuttavia una celebrazione in sordina, e per buone ragioni. La Grecia rimane infatti un paese sotto un “programma di sorveglianza” della Commissione Europea, i cui funzionari sono attesi in visita il 10 settembre, in concomitanza della legge di bilancio 2019 per verificare il rispetto dell’obiettivo di avanzo primario stabilito, pari al 3,5% del Pil fino al 2020 e il 2,2% in media fino al 2060.
Per un paese che rischia di essere bloccato in una spirale di bassa crescita per i prossimi 40 anni non c’è molto da festeggiare, soprattutto perché l’intervento della “troika” ha peggiorato anziché aiutato la società greca, imponendo enormi sacrifici umani, oltre che economici. Secondo l’indagine Eurobarometro della primavera 2018 il 98% dei greci giudicava totalmente negativa la situazione economica (Italia 81%). I cittadini greci non sono per niente d’accordo con le dichiarazioni di Bruxelles: con un’aggettivazione inusuale in un documento ufficiale l’Eurobarometro commenta che “mentre la situazione ha continuato a migliorare a livello di UE, le differenze fra gli Stati membri rimangono spettacolari (enfasi nell’originale)”. Il 70% dei cittadini greci ritiene che la loro “voce” non conti nella UE (Italia 66%) e, non sorprendentemente, il 69% non ha fiducia delle istituzioni della UE (Italia 51%). Come è potuto accadere? La Grecia del dopoguerra aveva registrato un significativo sviluppo e l’ingresso nell’Eurozona pareva averlo consolidato. Infatti grazie a una rapida diminuzione del tasso di inflazione dal 2001 la Grecia entra a far parte dell’eurozona, beneficiando così di una riduzione quasi a zero dello spread sul tasso di interesse rispetto al decennale tedesco: erano gli anni in cui in Italia si discuteva sul come impiegare il “dividendo” dell’euro. Fino al 2008 lo spread scompare “come se” l’Eurozona fosse unita: in Grecia l’economia aveva ripreso a crescere e nel 2004 ospitò le Olimpiadi. Nel 2008, quando lo spread sembrava ormai una reliquia del passato, la Grande Recessione americana contagia l’Europa e lo spread rinasce. In Grecia emergono peccati di ingegneria finanziaria commessi in passato e la sorpresa di un inatteso raddoppio del disavanzo pubblico annunciato il 18 ottobre 2009. L’8 dicembre inizia il declassamento del rating sul debito pubblico, che con la crisi di fiducia sui mercati che ne segue porta a un’improvvisa crisi finanziaria: il 23 aprile il primo ministro richiede un prestito di salvataggio, e il 18 maggio la Grecia riceva la prima tranche: mentre l’effetto congiunto del crollo del Pil fa balzare il rapporto debito/Pil da 109,4 nel 2008 a 126,7 nel 2009, 146,2 nel 2010 e 172,1 nel 2011. Negli Stati Uniti la Riserva Federale sarebbe intervenuta immediatamente per evitare un tracollo finanziario e proteggere l’economia di uno Stato in grave difficoltà: con tutti i mezzi, anche non convenzionali, legittimati da uno “stato di eccezione”. Nell’Unione Europea, invece, lo stretto sentiero per una possibile soluzione si scontrò contro un muro politico, con istituzioni ancora parziali e inadeguate (il governatore della BCE era ancora Trichet: Draghi entrò in carica nel novembre 2011) e rispose con un programma di prestiti della “troika”, condizionato a misure draconiane di austerità che, fra il 2010 e il 2017, hanno colpito pesantemente l’economia e la società. il Pil nel 2017 è diminuito del 25% rispetto al 2008, le esportazioni di beni e servizi hanno registrato una crescita impercettibile del +2%, il tasso di disoccupazione è triplicato oltre il 20%, il tasso di povertà, ancorato ai livelli del 2008, è aumentato dal 20% al 46% della popolazione, e ancora di più per i minorenni dal 23% al 53%, il numero di nuovi nati è diminuito del 21% punta estrema di un neo-malthusianesimo europeo, la disuguaglianza fra il 20% con i redditi più elevati e il 20% con i redditi più bassi è aumentata, la quota di famiglie che spendono “troppo” per l’abitazione (più del 40% del reddito) è aumentata dal 24% al 41%. Questi enormi sacrifici hanno ridotto solo marginalmente il rapporto debito/Pil: nel 2017 il rapporto è stato di 178,6 in diminuzione di soli 2 punti rispetto al massimo di 180,8 del 2016.

La drammatica esperienza di austerità in Grecia ha analogie, nelle sue conseguenze, con gli errori commessi a danno della Germania nel primo dopoguerra e non ripetuti nel secondo dopoguerra con la cancellazione di metà del debito: l’esperienza della Grecia dimostra che l’austerità è una politica divisiva e conflittuale, da superare con una nuova visione economica in grado di riunire e rafforzare l’Europa e la democrazia.

Luigi Campiglio

Luigi Campiglio è professore ordinario di Politica economica nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Studioso di livello internazionale, è autore di diversi saggi, libri e articoli per riviste italiane ed estere, occupandosi tra l’altro dell’analisi della crisi economica europea, delle generazioni e sviluppo economico, della distribuzione del reddito, consumi e povertà. È direttore della «Rivista Internazionale di Scienze Sociali».

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