I MAESTRI DI PAPA FRANCESCO

Quando ho iniziato a scrivere il volume Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale mi era chiara una cosa: il Papa aveva un pensiero, originale e profondo, che si esprimeva nei suoi discorsi e nei suoi documenti senza, però, che questo fosse visibile e manifesto. Una sorta di torrente sotterraneo che emergeva solo a tratti in superficie. Questa persuasione era alimentata da due letture. La prima era suggerita dalla miglior biografia del Pontefice in circolazione: The Great reformer. Francis and the Making of a radical Pope (New York 2014) di Austen Ivereigh. Ivereigh aveva il merito di analizzare autori e idee che accompagnavano la formazione e la vita di Bergoglio. Era l’unico che si era soffermato su questi aspetti. Le altre biografie, per quanto accurate, presupponevano che il futuro Papa, il pastore dal linguaggio semplice, fosse in qualche modo avverso alla riflessione intellettuale. Senza avvedersene legittimavano l’immagine, diffusa tra i critici di papa Francesco, di un Papa privo della formazione culturale, teologica e filosofica, indispensabile per l’ufficio petrino. La ricerca di Ivereigh, documentando un complesso quadro di rapporti ideali e di influenze, sconfessava questa immagine.

Fessard è l’autore che è all’inizio del pensiero di Bergoglio. È il suo professore di filosofia al Colegio Maximo, Miguel Angel Fiorito, che lo introduce alla sua conoscenza. Com’egli afferma in una delle sue interviste rifluite nel mio studio: «Ma lo scrittore… che ha avuto un grande influsso su di me è stato Gaston Fessard. Io ho letto parecchie volte la La dialectique des “Exercices spirituels de Saint Ignace de Loyola” e altre cose di lui. Lì ha dato a me tanti elementi che si sono poi mischiati». Si tratta di una confessione di grande importanza. Il Papa offre qui la chiave per comprendere la genesi del suo pensiero e, insieme, il filo rosso che lo tiene unito. Ne La dialectique des “Exercices spirituels de Saint Ignace de Loyola”, edita da Aubier nel 1956, Fessard analizzava la spiritualità di S. Ignazio a partire dalla tensione tra grazia e libertà, tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, tra contemplazione e azione. Il giovane Bergoglio rimarrà molto colpito da questa interpretazione dinamica degli Esercizi. Ne trovava conferma in un testo di Karl-Heinz Crumbach, Ein ignatianisches Wort als Frage an unseren Glauben, del 1969. La Teologia del ‘come se’ di Crumbach si ispirava a Fessard nel delineare l’incontro mistico tra Dio e uomo, una sorta di “paradosso” secondo de Lubac, il cui risultato, per Bergoglio, è una concezione della fede vivente, intesa come continua domanda alla Presenza di grazia e come pensiero “tensionante”, mai concluso e soddisfatto.
È partendo da Fessard che Bergoglio incontra, nel 1986, la filosofia polare di Guardini. Guardini viene confermare una prospettiva già consolidata. Nondimeno contribuisce ad approfondire e ad allargare il quadro concettuale bergogliano. Dalla tesi di dottorato, mai portata a compimento, Guardini diviene il suo secondo maestro, colui che gli fornisce le categorie per affrontare la ecclesiologia, la società, la politica. Muovendosi tra Fessard e Guardini, Bergoglio viene a collocarsi dentro un filone del pensiero cattolico tra ‘800 e ‘900: quello iniziato con la Scuola di Tubinga di Adam Möhler, che prosegue poi con Guardini, Erich Przywara, de Lubac, Fessard. È il filone che intende la Chiesa come coincidentia oppositorum, come tensione di opposti nell’unità. È la stessa concezione che troviamo in colui che può, forse, essere indicato come il terzo maestro di Bergoglio, il pensatore uruguayano Alberto Methol Ferré (1929 – 2009), anche lui profondamente influenzato dalla dialettica di Fessard. «Methol Ferré può essere probabilmente considerato il più importante e originale intellettuale cattolico latinoamericano della fine del XX secolo» (A. Ivereigh). Si incontrano, con Bergoglio, nel 1979, in occasione della grande Conferenza ecclesiale di Puebla. Nasce una collaborazione ed una stima destinata ad intensificarsi negli anni ’90. Methol, con le sue riviste “Vispera” e “Nexo”, attorno a cui si raccoglie il meglio dell’intellighenzia cattolica latinoamerica, diviene il “filosofo” di Bergoglio, il visionario che disegna la geopolitica ecclesiale, il sognatore della Patria Grande dell’America Latina. La sensibilità politica ed ecclesiale del futuro Papa deve molto a Methol.
Una ulteriore figura merita di essere considerata tra gli ispiratori del pensiero bergogliano. È quella di una donna, una filosofa argentina: Amelia Podetti (1928 – 1979). Dopo aver studiato a Parigi, sotto la guida di Jean Wahl, Paul Ricoeur, Ferdinand Alquié e Henri Gouhier, la Podetti era tornata in patria con lo scopo, a fronte dell’egemonia dello scientismo positivistico e del marxismo, di dar vita ad un pensiero sociale calato nella tradizione culturale del Paese in un confronto di alto livello con la filosofia continentale europea. Studiosa di Hegel la Podetti influenza Bergoglio su un tema chiave; quello delle “periferie”. Da lei il futuro Papa apprende l’idea che lo sguardo sul mondo muta se lo si guarda dall’esterno, dai bordi, dai punti fragili e dolenti del mondo. Chi sta al “centro”, nel cuore delle metropoli non comprende il dramma della storia, le faglie, i punti di rottura, i terremoti che arrivano. Tutta la visione sociale, evangelica di Bergoglio presuppone lo sguardo della “periferia”, il punto di vista di coloro che vengono scartati, tenuti fuori.
Fessard, Guardini, Methol Ferré, Podetti sono tra i maestri della “biografia intellettuale” di Bergoglio. Maestri europei e maestri argentini, un mix che sconfessa la tesi, diffusa tra i critici del Papa, per cui la sua formazione sarebbe ristretta nei parametri culturali dell’America del Sud, ignara del pensiero europeo ed occidentale. A questi quattro maestri ne va aggiunto un quinto: Hans Urs von Balthasar. Bergoglio lo incrocia idealmente negli anni ’80, allorché si occupa dell’inculturazione del messaggio cristiano, del rapporto “polare, tra unità e differenza”. Lo ritrova poi alla fine degli anni ’90 quando la grande Estetica teologica di Balthasar offre le categorie per presentare l’incontro cristiano, la figura del testimone, dentro il mondo secolarizzato. La dottrina dell’Essere uno con i trascendentali (bello-bene-vero) diviene il presupposto dell’ontologia cristologica e missionaria di Bergoglio. Il centro ruota ora sul rapporto polare tra Misericordia e Verità come modalità di essere del cristiano nel mondo contemporaneo. Attraverso l’Estetica di Balthasar, il cui saggio su Ireneo lo colpisce molto, Bergoglio possiede le categorie per criticare la gnosi e la disincarnazione della fede. E’ l’affondo verso il realismo, richiamato dal secondo dei suoi tre principi: «La realtà è superiore all’idea». Grazie ad esso il pensiero poliedrico di Bergoglio si dispone nella sua tensione più propria: la dialettica dello spirito di Fessard, derivata da Blondel, e lo splendore della forma desunto dall’Estetica di von Balthasar. Il risultato è un pensiero profondamente “cattolico” il quale, fuori da ogni conciliante irenismo, lotta, nel dramma della storia, per avviare processi di unità la cui sintesi è affidata al tempo guidato da Dio.
Massimo Borghesi
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