Il disarmo dell’editoria cattolica

Quando si vedono chiudere sempre più frequentemente delle librerie religiose; quando perfino case editrici storiche stentano a tenere il passo del mercato; quando si assiste al dinamismo progettuale e promozionale degli editori laici nel campo del libro religioso e non si assiste invece a una programmazione strategica proiettata al futuro delle case editrici cattoliche; quando, infine, si osservano i lenti e spesso inconcludenti cambiamenti in atto sul piano dirigenziale, distributivo e operativo, a conferma dello stato di incertezza e disorientamento che si sta vivendo, l’impressione di chi osserva i fenomeni dall’esterno non può che essere quella di un imminente disarmo.
Non ci si deve lasciar ingannare dal fatto che ogni tanto scoppino dei fuochi d’artificio (ossia che ci siano dei best-seller o delle buone vendite di alcuni libri), perché i problemi di fondo restano e, pur avendo cause diverse, non sono soltanto riconducibili alle difficoltà di assorbimento del mercato (che, nonostante tutto, esiste, se lo si sa trovare), ma sono legate soprattutto al travaglio interno degli stessi istituti religiosi che hanno proprietà di sigle editoriali, trovandosi spesso finanziariamente ed economicamente in crisi e generalmente anche carenti di vocazioni.
Questo si riflette necessariamente sui mancati investimenti là dove ci sarebbe più bisogno di rinnovamento, di cambio di personale dirigente, di rafforzamento sul piano dell'organizzazione interna, delle strutture commerciali e dei progetti da realizzare. Per di più, le case editrici cattoliche scontano generalmente il fatto che le loro vendite sono limitate per gran parte alle librerie religiose, e passano molto poco dalle librerie laiche, già impermeabili per conto loro a un certo tipo di produzione oppure con costi d'ingresso ritenuti (a ragione o a torto) insostenibili.
Si può in ogni caso notare, sul piano individuale, associativo e come comunità ecclesiale in genere, che sussiste una mancanza, per non dire in certi casi un vuoto, nell’informazione, nella promozione, nella pubblicità e nell’organizzazione di eventi in qualche modo utili alla diffusione del libro e della cultura religiosa. C’è troppa inerzia, probabilmente anche per assenza di idee.
Tuttavia, esiste forse anche una questione più di fondo: c’è la convinzione che l’apostolato dei libri rappresenti ancora una missione fondamentale per il proprio istituto e per la Chiesa stessa? Non si ha la tentazione di credere che, in questi tempi nuovi della società, siano altri, piuttosto che i libri, gli strumenti da usare per l’annuncio del Vangelo?
Giuliano Vigini
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