Il valore intangibile della lettura

Il valore intangibile della lettura

04.12.2021
di Velania La Mendola

«Può esistere una società senza scrittura, ne esistono molte, ma non può esistere una società senza lettura.»

Lo scrive Alberto Manguel in uno splendido libro arrivato in Italia nel 1997, Una storia della lettura (pluriristampato), che ha ispirato un recital andato in scena a Brescia qualche giorno fa, in una Biblioteca comunale, a cura del Duo Nùes, che a guardare dalle foto non pare sia una compagnia di vecchietti.

Cosa importa l’età? Importa, perché – a detta di qualche giornalista – in questo Paese la lettura si estinguerà. Sembra si tratti di roba da anziani, da era preistorica in cui in assenza di Netflix, youtube, app, social, videogames e affini, il libro riempiva un buco di noia: un grande sbadiglio generazionale che, alla faccia di Baudelaire, ha inghiottito senza particolare amore o passione quell’oggetto rettangolare pieno di pagine stampate.

Eppure i dati ci dicono che le vendite di libri nei primi sei mesi del 2021 (varia, adulti e ragazzi, online e nelle librerie fisiche) non sono diminuite rispetto agli anni passati, anzi c’è stato un balzo del 31% di copie vendute in più rispetto al 2019 (dati AIE 13/07/2021). La lettura quindi non è in recessione. Tuttavia se aumentano gli acquisti dei “lettori forti” (almeno 12 libri in un anno) diminuisce il numero dei lettori deboli; insomma chi già leggeva poco ha smesso di farlo.

La domanda vera allora, per capire se dovremo mettere in soffitta il verbo “leggere” nei prossimi decenni, è: leggono solo gli over 40 o più? Guardando alle biblioteche, secondo gli ultimi dati Istat nel 2020, nella fascia d’età fra i 6 e i 24 anni, i lettori sono il 53,7%, in leggera crescita rispetto al 2019. Ma non è per forza un dato positivo, soprattutto per i giovani adulti.

ALLENARSI ALLA LETTURA COME SURFISTI. O COME SOMMOZZATORI
Se molte sono le iniziative di promozione della lettura per i più piccoli
(basti sfogliare le iniziative patrocinate dal Cepell) poche o sporadiche sono quelle dedicate ai ventenni. In quella fase della vita in cui ci si concentra sulla forma da dare al futuro le maglie del tempo si stringono e le occasioni per leggere per puro piacere diminuiscono. Penso agli studenti universitari ad esempio o ai neolaureati, per i quali la lettura spesso si ferma ai libri di testo o a volumi specialistici e di conseguenza, appena si entra nel mondo del lavoro, crolla. Perché se si perde l’abitudine alla lettura diventa difficile tornare indietro.

Lo ha dimostrato con le sue ricerche Maryanne Wolf, la neuroscienziata che studia il cervello che legge: se non alleniamo i “muscoli” della lettura questi si intorpidiscono e smettono di funzionare come un tempo; vi capita mai di fare fatica a leggere più di una pagina su carta? Ecco, il motivo è che siete fuori allenamento.

Come ha ricordato anche Alessandro D’Avenia nel bell’articolo del Corriere dedicato a questo tema, quello che ha provocato la sferzante risposta di Guia Soncini, il nostro cervello sta cambiando per le sollecitazioni del digitale; leggiamo tantissimo, i più giovani forse ancor di più di quanto hanno mai fatto le generazioni precedenti (whatsapp, articoli online, mail, social, ecc.) ma saltando da una parola all’altra (l’avrete fatto anche voi arrivando qui). Questo skimming ci costringe a cambiare modo di ragionare, ci rende bravi surfisti ma pessimi sommozzatori; ci diamo meno tempo, diamo meno tempo agli altri e al ragionare e così facendo chiudiamo porte, saltiamo alle nostre conclusioni, perdiamo qualcosa, perdiamo empatia e capacità di ascolto e comprensione. Per resistere e sviluppare nuove capacità, per educare i più giovani alla lettura profonda, ci vuole tenacia, pazienza, allenamento.

Tocca agli adulti aprire spazi, offrire occasioni, invitare a “perdere tempo” nella lettura. Tocca alle istituzioni, alle aziende, ai leader, occuparsi dell’intangibile. Olivetti, colui a cui si è ispirato Steve Jobs, aveva inserito una emeroteca e una grande biblioteca in azienda a disposizione dei lavoratori: la cultura faceva parte del luogo di lavoro. Un unicum che dobbiamo ricordare solo sui libri di storia che andranno in soffitta con tutto il resto?

Non basta scuotere la testa verso i più giovani e augurarsi con pena o gioia (a seconda) la fine della lettura. Abbiamo delle responsabilità. Dipende da quanto ci teniamo.

Velania La Mendola

Velania La Mendola, giornalista pubblicista, è responsabile della Comunicazione e dell'Ufficio stampa della casa editrice Vita e Pensiero e fa parte della redazione del quindicinale online VP Plus. Collabora con il master di Editoria dell'Università di Pavia. Si occupa di storia dell'editoria del Novecento e le sue ricerche prendono spesso spunto dai carteggi custoditi dagli archivi editoriali. In particolare si è occupata di Hemingway per la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, di Sciascia e della sua corrispondenza con la casa editrice Einaudi, di Edilio Rusconi e del suo archivio privato, della casa editrice Vita e Pensiero per il catalogo storico dei 100 anni. È stata Componente del Comitato di redazione della Rivista internazionale di studi sciasciani «Todomodo». Scrive di libri per "Presenza" e "Cattolicanews". È presidente dell’associazione culturale Festamobile e coordina il gruppo di studenti universitari "I giusti continuano a leggere".

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