INDICAZIONI SULLA POESIA A UNO SCONOSCIUTO

di Damiano Sinfonico
Una persona che di poesia avesse letto solo i classici e volesse farsi un’idea di quello che accade nella contemporaneità, troverebbe lì per lì ribaltati i propri concetti intorno a quest’arte: tutti scrivono, si scrive di tutto, tutto è ammesso. Un giudizio così immediato ovviamente creerebbe rigetto. Ma se questa persona avesse voglia di approfondire e capire perché ci sono altre persone che invece dedicano la loro vita a questa cosa strana e misteriosa chiamata poesia, ne uscirebbe meravigliata.
Se questo lettore curioso andasse a un ritrovo o festival letterario, vedrebbe affastellarsi un gran numero di voci. E sono tutti amici! Tutti si conoscono, si sono letti a vicenda, si citano, si rimandano l’un l’altro. Quello che può apparire corporativismo, in realtà si chiama “campo letterario”. Ovvero gli autori contemporanei sono gettati in uno stesso tempo e non possono ignorarsi, ma devono leggersi, stimarsi o cozzare, altrimenti la poesia diventa una fantasticheria da alienati. In questo modo i poeti vengono a conoscenza di quanto è già stato fatto ed evitano di ripeterlo. Sono stimolati a creare qualcosa di nuovo, costretti a parlare con una voce inconfondibile.
Accettato questo, l’impressione che si scriva di tutto non può che essere rettificata: si scrive di tutto perché di tutto può essere scritto e secondo qualunque criterio. Nel corso dell’ultimo secolo e mezzo i profondi mutamenti sociali, nel paesaggio, nei mezzi di comunicazione e in qualunque altro settore, hanno spinto gli scrittori a affrontare problemi nuovi e a modificare il dna della lingua poetica, rinunciando a un codice espressivo unitario. Certo, dirà questo lettore curioso, ma allora come si fa oggi a distinguere quello che è poesia da quello che è imitazione o ciarpame?
La domanda è sempre valida e un critico onesto non potrà né eluderla né dare una risposta esauriente. Dalla mia modesta esperienza consiglierei a questo lettore di iniziare dalle collane maggiori per ascoltare i maestri di questo tempo: le troverà facilmente in libreria. Da lì però deve fare due passi in più: curiosare tra i più giovani, e qui sta il difficile, perché i loro libri non arrivano mai in libreria, per una sorta di apartheid che li ha esclusi dalle case editrici blasonate, mentre ottimi titoli vengono battuti da fucine seminascoste (consiglio le collane Lyra Giovani di Interlinea e Pordenonelegge di Lietocolle). Oppure una via più comoda è quella delle antologie (nell’ultimo anno ne sono uscite ben tre, pubblicate da InternoPoesia, Giuliano Ladolfi, Taut).
L’altro passo che questo lettore curioso dovrà fare riguarda il gran mare dei siti internet: è un mare davvero grande, e incerto. Alcuni siti godono di un prestigio derivato dall’accademia (“Le parole e le cose”) o da una gloriosa storia cartacea (“Nuovi Argomenti”), altri sono stati pionieri nella rete (“Nazione Indiana”), altri sono espressione di nuovi gruppi (“La Balena Bianca”, “Formavera”, il defunto “404 non found”), altri hanno un taglio più generalista (“Poetarum Silva”, “Interno Poesia”, “Atelier Poesia”).
Ma il Triangolo delle Bermuda da affrontare è quello dei social network: lì si vede davvero di tutto. La cosa più innocua che il nostro lettore vi potrà trovare sono le poesie istantanee, delle “scatole surgelate di emozioni mordi-e-fuggi, barzellette da bar o ricorsività edulcorate dell’ovvio – quando va bene meri spunti di riflessione” (così Simone Burratti in un articolo). Ne abbiamo viste anche in questi giorni, durante l’emergenza covid-19: perfino autori navigati ed esperti non si sono sottratti alla musa della contingenza (dando una prova non brillante). È evidente che resiste la voglia di nobilitare l’urgenza espressiva, a cui si aggiunge quella di essere contemporanei minuto per minuto.
E se l’interesse del nostro lettore curioso non si spegne davanti a questi tentativi, scoprirà anche che tra hashtag e foto di libri fioriscono persino le polemiche. Anzi, le ‘polemikette’, come ormai si usa. Si tratta di tenzoni feroci ma di elevato rigore, tra professionisti del genere, affidate a post e commenti volatili come le foglie della Sibilla.
Insomma, si potrà equivocare e pensare che la poesia non sia più quella cosa speciale che ci era sembrata leggendo Dante e Leopardi. Può anche darsi che sia così, e perché mai dovrebbe essere speciale? Che cosa la dovrebbe distinguere dalle altre attività umane? Qui lascio la parola al lettore. In fondo io sono uno che pensa che la poesia ci aiuti a orientarci in quella che Gianni Celati ha chiamato “la nuvola del niente di speciale che ogni giorno ci avvolge”.
Questo lavoro, perché di lavoro si tratta, è però estremamente concreto. I libri nuovi di poesia ci servono – non meno di altri – a smuovere e vagliare le parole con cui nominiamo il mondo, e ogni frase nuova può coincidere con una esperienza nuova, e questa possibilità ci affranca dall’ignoranza e dai clichés. Nel secolo che ci è toccato la poesia è ancora una risorsa preziosa, mantiene un dialogo con la tradizione (o le tradizioni) e ci situa nella storia, ci mostra l’evoluzione delle idee e ci aiuta a fondarne di nuove, ci permette di esprimere, con fascinosa esattezza, tutte le sfumature del nostro mondo interiore, e ci aiuta a dire e capire meglio, rovesciando Montale, ciò che siamo e ciò che vogliamo.
Damiano Sinfonico
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