INTELLETTUALI O STAR MEDIATICHE?

INTELLETTUALI O STAR MEDIATICHE?

28.10.2017

di Alfonso Berardinelli

Da un secolo e oltre, l’intellettuale è stato spinto sempre di più dal crescente dinamismo e dalla drammaticità della vita sociale e politica moderna a intervenire sull’attualità. Voler parlare di tutto, essere sollecitato a produrre opinioni su qualunque problema, sembrava essere un fatto naturale, in particolare per filosofi e scrittori. Romanzo e filosofia non si interessano a tutto? Non parlano della vita e del suo significato senza circoscrivere “scientificamente” ambiti specifici?
Con il moltiplicarsi degli intellettuali come ceto e con il velocizzarsi dell’informazione, che sempre più spesso aspira a diventare spettacolo, la stessa nozione di intellettuale si è però modificata. Da un lato gli intellettuali hanno perso autorità, dall’altro tutti si sentono più o meno intellettuali.

Del resto, per avere un’influenza pubblica, l’intellettuale intervistato deve essere già famoso, deve essere anche fisicamente riconosciuto da un vasto pubblico. L’intellettuale autorevole, per essere autorevole, ha dovuto trasformarsi in una star mediatica. La cosa fu chiarissima negli anni Settanta con l’avvento in Francia dei Nouveaux Philosophes: tutti notarono che André Glucksmann e Bernard Henri-Lévy (come già Derrida) più che dei filosofi sembravano degli attori. Si potrebbero fare diversi altri nomi: è il tipo dell’intellettuale come uomo affascinante, come bell’uomo…

Il passo è breve dunque se si passa, come oggi avviene, alla star mediatica, dall’uomo affascinante all’attore, al cantante, al calciatore, allo stilista come intellettuali… In effetti il grande pubblico è più incuriosito dalle opinioni politiche di George Clooney, di Clint Eastwood o di Sean Connery che di Chomsky o Vargas Llosa o Philip Roth. Il fatto è che ogni intellettuale, per quanto informato e perspicace, quando viene intervistato a caldo o a freddo che sia, è molto facile che non dica nulla di più di quello che viene in mente a un tassista riflessivo, a un medico della mutua, a un commercialista, a un barista, a un operaio.

In realtà, i pareri che contano sono quelli di chi abbia dedicato a studiare la questione in gioco una prolungata attenzione. L’intellettuale che parla di tutto, se è intelligente (cosa niente affatto garantita: l’intelligenza non è monopolio degli intellettuali), può interessare a chi voglia capire la sua personalità, più che a conoscere la realtà.

In fondo anche i giornalisti, benché il loro mestiere li porti a occuparsi nel corso del tempo di moltissime cose, di solito si esprimono quasi esclusivamente a proposito di ambiti a lungo frequentati: sport, cinema, politica interna, politica estera, costume… Non si vede perché non debbano fare altrettanto anche i filosofi, i professori di letteratura, i registi cinematografici.

Senza voler delegare tutto agli “esperti”, né limitare la libertà di pensiero e di espressione, bisogna dire che oltre alle opinioni, che ognuno può avere, esiste anche la competenza, che non tutti abbiamo in misura sufficiente su ogni problema d’attualità. Non c’è bisogno di essere politologi per dare giudizi sull’attualità politica dei governi e dei partiti, ma certo dire “odio Trump” e “temo il terrorismo” può servire ai sondaggisti che calcolano le percentuali di gradimento o di paura, ma non dà un gran contributo a capire i fatti, il loro perché e lo stato delle cose. Consiglierei non solo agli intellettuali ma a ogni personaggio pubblico che viene intervistato di dire, quando è il caso, “mi dispiace, questo è un argomento di cui so poco, non ci ho riflettuto abbastanza e in proposito potrei dire solo delle inutili banalità”.

Ormai la Rete incoraggia al quotidiano sproloquio e alle esternazioni più imbarazzanti. Sarebbe il caso, perciò, di rendere pubblico solo ciò che può essere pubblicamente utile. Oggi la verità è minacciata non solo dalla menzogna, ma dall’assordante rumore di fondo che impedisce di ascoltarla.

Alfonso Berardinelli

Alfonso Berardinelli è saggista e critico letterario. Dal 2007 al 2009 ha diretto la collana "Prosa e Poesia" della casa editrice Libri Scheiwiller di Milano. Ha vinto il Premio Viareggio nel 2002, nella sezione Saggistica, il Premio Napoli e il Premio Cardarelli per la critica letteraria nel 2008. Collabora con vari quotidiani, tra i quali "Avvenire", "Il Sole 24 Ore" e "Il Foglio".

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