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LIBRERIE: QUALE FUTURO

04.04.2020

Il dibattito sulle librerie, tra crisi e coronavirus, continua. Dopo il primo intervento di Paola Di Giampaolo e le testimonianze di Ilaria Crotti (libreria falsoDemetrio, Genova) e Barbara Sardella (librerie Ubik), tre interventi da parte dei promotori editoriali Paolo Soraci, Fabio Abate e Mauro Frigerio, figure preziose della "filiera" non sempre note al pubblico e, qui, una riflessione di Giuliano Vigini sul ruolo delle librerie.

Librerie: quale futuro
di Giuliano Vigini
Prescindiamo dal contesto attuale, che vede chiuse le librerie, e riavvolgiamo il nastro al "prima", a un mese fa, quando già le librerie si erano svuotate per gli effetti visibili del Coronavirus. Sul n. 62 di “Vita e Pensiero Plus”, Paola Di Giampaolo ha già ben illustrato con i dati il quadro della situazione che si è creata, facendo anche emergere le problematiche del mercato della libreria che vengono da lontano e che oggi si sono ulteriormente aggravate per i motivi che conosciamo.

Qual era e qual è il problema di fondo della libreria? Ci si è a lungo concentrati, da parte degli addetti ai lavori e in ambito giornalistico, sulla questione degli sconti – regolamentata dalla nuova legge del libro al tetto massimo del 5% – e si è sottolineato che ciò che creava maggiormente problema alle piccole librerie (e ai piccoli editori impossibilitati a concederlo) era lo sconto del 15-20% sulle novità librarie al momento del loro lancio. Ci si è anche soffermati sulle principali iniziative di sostegno e promozione della lettura che sono state adottate: il finanziamento del Piano nazionale con 4,350 milioni di euro l’anno, a partire dal 2020; l’incremento di 3,250 milioni del credito d’imposta di cui potranno beneficiare molte librerie; l’importante carta elettronica da utilizzare, da parte dei giovani, per acquistare libri entro un anno; il riconoscimento, con l’istituzione di un apposito albo, delle “librerie di qualità”; il fondo di 1 milione per la formazione del personale delle biblioteche scolastiche, ecc.

Ora, visto che le librerie (con le edicole) da tempo continuano a chiudere i battenti, da parte mia ho più volte allargato il discorso per cercare di capire le altre ragioni che rendono complicata ed economicamente improduttiva la gestione di una normale libreria. A volerli brevemente riassumere, penso che i problemi siano tre: come riuscire innanzitutto a rendere efficaci le pur molteplici iniziative di promozione della lettura che si realizzano ogni anno su tutto il territorio nazionale, d’intesa con il ministero per i beni e le attività culturali, le associazioni di categoria (editori, librai, bibliotecari), le regioni e gli enti locali? Cosa può fare di praticabile il mondo editoriale per agevolare e semplificare l’iter commerciale e gestionale della libreria, anche a tutto vantaggio di sé stesso? Come, infine, deve autonomamente cambiare o rafforzarsi la libreria tradizionale, sia per far fronte al calo dei lettori, sia per fronteggiare la ineliminabile concorrenza delle vendite delle librerie online?

Per il primo punto, è evidente che se siamo passati dal 45,3% di lettori di almeno un libro l’anno (2011) al 40,6% dell’ultimo dato Istat (2018), ciò significa che, nonostante tutti gli encomiabili sforzi compiuti, non solo non siamo riusciti ad allargare la base della lettura, immettendo nel circuito nuovi soggetti che sostituiscano se non altro quelli che nel frattempo si sono persi (per età, malattia, problemi di vista, ecc.), ma siamo addirittura andati costantemente indietro. Questo calo può avere oggi cause diverse, ma comunque esso impone di ripensare o rimodulare la politica del libro e di mirare maggiormente gli interventi per raggiungere un risultato finale più positivo e soprattutto per rendere meno squilibrato il rapporto esistente, anche nella lettura, tra Nord e Sud.

Per il secondo punto, va studiato da parte degli editori, d’intesa con tutta la filiera del libro, quello che si può migliorare in termini di lanci, rifornimenti, rese e pratiche commerciali in genere, in modo non solo da non penalizzare la libreria, che resta pur sempre il pilastro portante del sistema diffusionale del libro e dei prodotti editoriali, ma di agevolarne e accrescerne le potenzialitàInfine, per il terzo punto, ci si deve domandare che tipo di modello di libreria servirebbe per il futuro. Si è convinti che basti un negozio che tiene un po’ di tutto, soprattutto le novità di classifica, e soddisfi poco quel 20% di clienti che tiene in piedi l’80% del mercato? Va da sé che, anche nel cambiare, occorre tener conto di dove ci si trova, del tipo di clientela che si ha, degli orari in cui essa frequenta prevalentemente la libreria, ma, detto questo, che tipo di spazi, di scelte e di servizi nuovi ha bisogno oggi una libreria che deve tra l’altro affrontare ogni giorno una massa di libri imponente? Si può sperare di trovarvi i libri riconosciuti importanti e di sapere, attraverso il sito internet della libreria, se il libro che stiamo cercando è disponibile? È possibile ipotizzare più librerie specializzate in grandi aree di interesse commerciale, ad esempio una ben fornita “libreria dei classici”? Oppure, in una metropoli o in una città universitaria, una libreria che abbia le principali collane di libri in inglese o in francese?
Tutte ipotesi e domande che chiamano a un confronto aperto, per il bene delle librerie, del pubblico che dovrebbe essere stimolato a frequentarle di più, e dell’editoria nel suo insieme.

Una postilla. Riaprire le librerie? Così auspicava qualche giorno fa Matteo Renzi, perché i libri “nutrono l’anima”. Non c’è dubbio che i libri, oltre al cervello, nutrano l’anima, ma in questo momento non è possibile. Anche le chiese nutrono l’anima, ma restano chiuse, visto che non si può uscire. Le librerie non sono la stessa cosa, come è stato detto, delle edicole. Le edicole sono sotto casa; fai pochi passi. In una grande città, le librerie dove sperare di trovare qualcosa di quello che cerchi sono in centro; devi prendere un tram, un autobus o una metropolitana (o anche più di un mezzo pubblico): cioè devi girare, tra ondata e ritorno, per almeno un’ora e mezzo. Ora, siccome qualche “lettore forte” ancora c’è, soprattutto al Nord, questo vorrebbe dire che migliaia di persone potrebbero liberamente circolare, con la giusta esigenza del sapere (e magari, en passant, per approfittare di fare qualche passo in più). Al ritorno a casa, puoi anche presentare lo scontrino dei libri acquistati, ma all’andata che cosa puoi dire a chi ti ferma: semplicemente che stai andando in libreria? Anche le cartolibrerie vorrebbero riaprire perché, dicono le mamme, stando i bambini tutto il giorno in casa, non possono stare senza pennarelli. E allora che si fa? Si riapre tutto?

Giuliano Vigini

Giuliano Vigini è noto come autore di saggi sull’editoria ed esperto di editoria (disciplina che insegna all’Università Cattolica di Milano) e mercato del libro. È membro di vari premi e comitati editoriali. Ha pubblicato anche numerose opere sulla letteratura cristiana antica, moderna e contemporanea. Collabora con giornali e riviste, tra cui il «Corriere della Sera», «Avvenire», «Famiglia cristiana» e «Vita e Pensiero».

Guarda tutti gli articoli scritti da Giuliano Vigini
 

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