L’insostenibile immutevolezza dei TG

di Massimo Bernardini
Lo certifica il Censis: il tg non piace più, o meglio piace un po’ meno. Se nel 2021 a usarlo come fonte principale d’informazione era il 60,1% degli italiani, nel 2022 era sceso al 51,2%. Un calo di 9 punti in un anno che continua anche nel ’23, secondo lo Studio Frasi. Guardando all’autunno scorso, infatti, ha scoperto dai dati Auditel che rispetto al ’22 hanno perso pubblico tutti i Tg ad eccezione di quello di Mentana su La7, che invece ha guadagnato circa 100.000 utenti. Insomma si sono ridotti di un milione i fedelissimi, abitudinari telespettatori italiani della sera, quelli che aspettavano fiduciosi che il tg-focolare spiegasse loro cos’era successo in Italia e nel mondo. Certo, il primato del mezzo c’è ancora grazie soprattutto all’invecchiamento dell’italiano medio, perché l’informazione via social, giovane e sintetica, su smartphone e via App, non arriva alle due cifre, e le news sul già desueto Facebook nel ’22 non coinvolgevano che il 35% degli utenti.
Eppure vi ricordate i bollettini serali del Covid? Il pienone per l’addio in diretta ad Elisabetta? E la paura collettiva per il ritorno della guerra nella vecchia Europa? Fuochi fatui, accensioni di breve durata, nessuna rivoluzione definitiva nelle abitudini né alcun vero incremento nel bottino finale dell’annata tv.
Ma ecco che, nell’opinione pubblica di casa nostra, è già partita la “grande semplificazione”: tutta colpa dello spoil system degli ultimi arrivati, la destra di governo piglia tutto, che starebbe sabotando, con la sua bulimia, l’olimpico bilanciamento del passato. Ora: c’è qualcosa di vero, come succede agli affamati lasciati per troppo tempo fuori dal banchetto dei ricchi, ma la questione è più profonda e la definirei di carattere… affettivo. Per rilanciare un Tg, magari il principale di casa nostra, quello di Raiuno, bisogna rilanciarne l'attrattiva, lo charme, l’autorevolezza. Non basta l’up to date alla Sky, che infatti ha già perso da un pezzo il suo appeal tecnologico e virtuale. Se Mentana crea affetto, fedeltà in crescita, è per il gesto di amicizia che il conduttore esercita verso lo spettatore, non per la ricchezza dei servizi, ridotti al minimo, né certo per l’apparato tecnologico, vecchio di decenni. Titoloni grandi, leggibili e spiegazioni chiare, leali.
A cambiare in Rai ha provato Monica Maggioni alla guida del suo Tg1, con le spigliate femminilità di approccio e i ribaltamenti di scaletta fra mondo e cortile italiano; ma anche con la sua idea di uno studio largo, a 180 gradi, vetrata, più che finestra, sulla giornata appena trascorsa.
Un tg ricco di inviate, spesso alla prima grande avventura professionale, ma anche bello di colori e di presenze, casa per ospiti importanti, capace di trasformarsi in super studio per eventi attrattivi e lunghi racconti. È durata un anno, poi la dura legge del ribaltamento elettorale ha richiesto i suoi abituali sacrifici. Ma non è tanto la nuova linea perseguita a stupirci, quanto la mancata tesaurizzazione del cambiamento linguistico, il volersene sbarazzare in fretta e senza troppe remore, quasi fosse un’inutile zavorra.
Qui sta l’inghippo: si chiede ai tg, specie quelli di casa Rai, un eterno Cencelli di robuste voci assertive, soddisfacendo quel pluralismo da farsa che la politica esige da telegiornali di cui è il vero, ultimo proprietario. Altro non chiede (meglio: pretende) la politica: avete mai sentito parlare, sui giornali o in commissione di vigilanza, se non di dati d’ascolto e tempi di presenza di questa o quella parte politica? Questo è ciò che veramente chiede l’editore, il resto sono estetismi, giocattoli per l’ultimo arrivato che abbia voglia di baloccarcisi. Dall’editore, insomma, una vera richiesta di rinnovamento non arriverà, tutto deve restare immobile e possibilmente immutato.
E in fondo a dargli ragione è anche lo status demografico del popolo italiano. Al 1° gennaio 2023, le persone con più di 65 anni sono 14 milioni 177 mila, il 24,1%. Mentre si riduce il numero dei più giovani: i ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni 334 mila (12,5% del totale della popolazione residente). Aggiungete che il recente Rapporto ISTAT del 2023 ha evidenziato un marcato calo nell’interesse giornaliero verso la politica. Un dato significativo che mostra che solo il 26,5% degli italiani sopra i 14 anni se ne informa quotidianamente, a fronte di un 28,4% che afferma di non seguire mai le questioni politiche. E anche se la televisione emerge come il mezzo preferito per l’80% degli intervistati, in particolar modo tra chi ha un livello di istruzione basso, mi sembra la perfetta radiografia di uno stanco paese per vecchi.
Perché dovrebbe esigere, un tale Paese, dei tg più moderni e fruibili? Ci penserà qualcuno dopo di noi, oggi basta accaparrarsi quel poco che serve e conviene.
Massimo Bernardini
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