Lord Stern e l’etica del cambiamento climatico

Lord Stern e l’etica del cambiamento climatico

03.12.2022

di Andrea Boitani

Lord Stern è famoso nel mondo soprattutto per il suo rapporto sull’economia del cambiamento climatico, portata a termine nel 2007 e subito divenuta nota come la Stern Review. Quel rapporto – commissionato al Professor Stern quando era capo del Government Economic Service di Sua Maestà – ha contribuito negli anni al mutamento degli atteggiamenti di economisti e governanti nei confronti delle politiche per ridurre le emissioni climalteranti.

Fino alla Stern Review era molto diffusa l’opinione che l’aumento del prezzo dei carburanti fossili avrebbe indirizzato il progresso tecnologico verso energie sempre più pulite e che, quindi, il contenimento delle emissioni si sarebbe realizzato grazie al libero gioco delle forze di mercato. Le politiche volte a spingere la riduzione delle emissioni climalteranti presentavano, secondo molti economisti, un rapporto costi-benefici molto incerto e con ogni probabilità peggiore di quello ottenuto da una strategia di attesa e adattamento.

Ormai sappiamo che i danni, anche economici, derivanti dal cambiamento climatico sono enormi già oggi e non riguardano solo il lontano futuro e che i più colpiti sono i più poveri del pianeta. Inoltre, il rischio di catastrofi naturali è tutt’altro che basso e i costi economici associati sono immensi. Chiaro che la dimensione di tali costi e dei benefici delle politiche di contrasto dei cambiamenti climatici dipenda in modo cruciale dal modo in cui vengono fatte le valutazioni e, in particolare, dalla probabilità attribuita ai rischi di eventi catastrofici e dalla misura in cui vengono scontati i costi e i benefici futuri.

Qui emerge una questione etica della massima rilevanza. Il benessere di una persona nata nel 2046 (tra 35 anni), se scontata con un tasso del 2 per cento, varrebbe circa la metà del benessere di una persona nata quest’anno. Chi nasce dopo conta molto meno. Le generazioni future non fanno così parte del «noi»: sono sconosciuti, sono «loro» cui dare poco peso. I rischi e i danni ambientali futuri, se vengono scontati a un tasso elevato, appaiono piccoli e, corrispondentemente, piccolo lo sforzo economico da profondere per prevenirli e limitarli.

La difesa della pratica di scontare il futuro poggia sull’egoismo generazionale incarnato nella cosiddetta “preferenza temporale”. Roy Harrod definì la preferenza temporale “un’infermità dell’uomo […] un’espressione educata per la rapacità e la conquista della ragione da parte delle passioni”. Come già riconosceva David Hume, ognuno di noi è più legato ai propri figli e nipoti che ai lontani discendenti che non conoscerà mai. Sembra un tratto psicologico semplice e comprensibile, a livello individuale. Ma perché dovrebbe riguardare la comunità umana? Questa va oltre la mera somma degli individui oggi viventi e comprende le generazioni future, il cui benessere dovrebbe perciò pesare più o meno quanto il nostro. Alcuni economisti hanno sostenuto che il tasso di sconto dovrebbe essere pari al tasso di interesse a lungo termine sul capitale investito da soggetti privati. Ma, come ha scritto proprio Lord Stern, le informazioni fornite dai mercati “riguardano scelte individuali con un orizzonte temporale limitato e non cosa dovrebbe fare la società su un arco temporale molto maggiore”. L’inerzia nei confronti del riscaldamento globale è anche il frutto di aver a lungo messo sotto il tappeto le questioni eticamente fondamentali che Nicholas Stern ha, invece, avuto il merito di affrontare con chiarezza. Il che, da solo, gli vale la riconoscenza e l’onore della nostra laurea honoris causa.

Andrea Boitani

Andrea Boitani è professore ordinario di Economia politica nella Facoltà di Scienze bancarie finanziarie e assicurative dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Redattore di www.lavoce.info, collabora con «la Repubblica - Affari & Finanza», «Il Sole 24 Ore» e www.inpiù.net.

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