Ma un'etica della finanza è possibile?

Al pari di ogni attività umana, il comportamento economico e finanziario presuppone sempre una concezione di carattere etico. Qualsiasi scelta economica comporta, infatti, una risposta alla domanda sul “perché” della decisione e, quindi, l’affermazione di un “bene” che l’azione vuole perseguire. In ambito economico e finanziario, tuttavia, la concezione etica è data normalmente per implicita. Di regola non se ne parla, concentrando piuttosto l’attenzione su modelli che pur presuppongono una scelta etica. Più frequente, invece, è il ricorso a espressioni come “etica e finanza” o “finanza etica”. Con la prima si identifica l’etica come un limite alla finanza; con la seconda si punta a distinguere tra una finanza “buona” e una “cattiva”. In entrambi i casi, rimane non chiarito cosa esattamente debba intendersi per etica. Di qui il rischio - acutamente rilevato dal n. 45 della Caritas in veritate - di un «certo abuso dell’aggettivo ‘etico’, che, adoperato in modo generico, si presta a designare contenuti anche molto diversi, al punto da far passare sotto la sua copertura decisioni e scelte contrarie alla giustizia e al vero bene dell’uomo». Meglio, quindi, parlare di “etica della finanza”: in tal modo, infatti, è chiarito che la finanza è un’attività umana, caratterizzata da un fine e da criterio dell’agire; ed è posto il tema di quali possano o debbano essere il suo fine e il relativo criterio di azione. Tradizionalmente, in ambito economico e finanziario la riflessone teorica e il comportamento pratico utilizzano una concezione di carattere utilitaristico: le scelte economiche migliori sono quelle che massimizzano l’utilità del singolo, considerato come soggetto isolato, razionale e unicamente motivato dalla massimizzazione della propria soddisfazione individuale. La crisi finanziaria globale ha, tuttavia, messo in luce i molti limiti di questa impostazione, per la verità già noti alla riflessione scientifica, in particolare dell’economia comportamentale: davvero il perseguimento egoistico della massimizzazione dell’utilità individuale conduce a scelte economiche ottimali? Nel mondo reale le singole persone si comportano davvero così? E, più radicalmente, a fronte della crescente disuguaglianza tra persone e nei diversi Paesi, il modello tradizionale è davvero il migliore?
Con un documento pubblicato nel maggio 2018 e intitolato Oeconomicae et pecuniariae quaestiones (OPQ), la Congregazione per la Dottrina della Fede e il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale affrontano queste domande partendo dalle fondamenta. Nella prima parte, dedicata a «elementari considerazioni di fondo», il documento esplicita una «visione dell’uomo», diretta a fondare un’etica e una prassi «all’altezza della sua dignità e di un bene che sia realmente comune». L’idea chiave è la «fondamentale indole relazionale dell’uomo» caratterizzata in modo «essenziale da una razionalità che resiste a ogni riduzione» delle sue esigenze strutturali. Il riconoscimento della dimensione relazionale della persona umana ha una molteplicità di ricadute: la collaborazione, la cooperazione, ma anche - in una prospettiva economica - il buon funzionamento del mercato. Come già ricordava, infatti, il n. 35 della Caritas in veritate, «il mercato, lasciato al solo principio dell'equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica». Di qui una prima indicazione di fondo: per funzionare adeguatamente, economia e finanza necessitano di un’etica incentrata sulla persona e sulla sua natura relazionale. Come osservato dal Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, card. Peter Turkson, nell’incontro di presentazione del documento in Università Cattolica nello scorso ottobre, ciò significa superare alcuni comuni errori di concezione: la riduzione del profitto all’ottimizzazione monetaria del reddito, che dimentica beni come la fiducia, la giustizia e la cooperazione; la costrizione del business nei confini della massimizzazione del profitto, così da escludere la dimensione della gratuità; la riduzione del benessere all’accumulo di denaro, dimenticando la qualità della vita in termini di relazioni umane.
In continuità con il tradizionale insegnamento della dottrina sociale della Chiesa, da questa impostazione il documento trae una serie di conseguenze: l’opportunità di valorizzare le «strategie economiche che mirino anzitutto alla qualità globale della vita» - che, «se vuol essere tale, è sempre integrale, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini» - e la sollecitazione a valutare il benessere «con criteri ben più ampi della produzione interna lorda di un Paese, tenendo invece conto anche di altri parametri, quali ad esempio la sicurezza, la salute, la crescita del “capitale umano”, la qualità della vita sociale e del lavoro». Riecheggiano in queste parole tratti comuni all’approccio sperimentale nella lotta alla povertà globale di Michael Kremer, Abhijit Banerjee ed Esther Duflo, premi Nobel per l’economia nel 2019.
Nella seconda e terza parte, il documento concentra la sua specifica attenzione sul fenomeno economico e finanziario. La riflessione si apre con alcuni giudizi assai chiari: l’odierna prevalenza della finanza sull’economia reale e, quindi, della rendita di capitale sul reddito da lavoro, con una «inversione di ordine tra mezzi e fini» per la quale «il lavoro da bene diviene ‘strumento’ e il denaro da mezzo diviene ‘fine’»; l’incapacità dei mercati tanto a produrre i presupposti che ne consentono il regolare funzionamento, come fiducia e coesione sociale, quanto a correggere le esternalità che incidono negativamente sulla società, come disuguaglianza, insicurezza sociale e degrado ambientale; il frequente abuso delle posizioni di superiorità informativa e la speculazione “ribassista” sui titoli del debito pubblico di interi Paesi. Opportuna risulta, pertanto, una discussione nel merito, che il documento affronta prendendo posizione su tematiche assai note alla riflessione economica e giuridica. Il criterio di valutazione è esplicitato in esordio: il sistema finanziario è come il sistema di circolazione del sangue della vita economica. Sono, quindi, da favorire le scelte che assicurano la buona funzionalità del sistema, a beneficio della dignità degli uomini e del bene comune, mentre vanno contrastati gli strumenti potenzialmente capaci di “intossicare” il sistema. Gli spunti esemplificativi di una finanza che perde la sua vocazione primaria di servizio all’economia reale sono numerosi: prodotti finanziari complessi di per sé leciti ma che per via di una situazione di asimmetria informativa violano la correttezza relazionale; cattiva finanziarizzazione dell’economia che concentrandosi in transazioni dal mero intento speculativo si sottrae ai circuiti virtuosi dell’economia reale; pratiche in materia di tassi di interesse poste in essere da intermediari finanziari che allontano dal perseguimento della funzione sociale del credito. Parimenti numerose le indicazioni di possibili strumenti per favorire la buona funzionalità del sistema finanziario: un controllo pubblico dei mercati e dei prodotti finanziari, adeguatamente coordinato a livello internazionale; la salvaguardia di una “biodiversità” economica e finanziaria, assicurata, per esempio, da un pluralismo bancario che consenta microcredito e cooperazione; il contrasto a prodotti finanziari, come derivati e titoli cartolarizzati “fuori controllo”, che «operano di fatto una sorta di creazione fittizia di valore» e scaricano i relativi rischi sul mercato, nonché l’opposizione alla manipolazione degli indici monetari, allo shadow banking system e ai centri finanziari off-shore; un’integrazione, anzitutto a livello di educazione universitaria, tra azione imprenditoriale e istanze etiche, in una logica di responsabilità sociale di impresa. Né manca il richiamo alle responsabilità proprie di ciascuno: poiché «i mercati vivono grazie alla domanda ed all’offerta di beni», risulta “importante un esercizio critico e responsabile del consumo e dei risparmi”, tanto più adeguato se esercitato in forma associata, secondo un «nuovo protagonismo sociale» improntato «alla ricerca del bene comune» e fondato «sui saldi principi della solidarietà e della sussidiarietà», che arriva a declinarsi, nelle parole del card. Turkson a conclusione dell’intervento in Università Cattolica, in un vero e proprio “votare con il portafoglio”.
Assecondando l’invito a «una riscossa dell’umano», in collaborazione con l’Arcidiocesi di Milano l’Università Cattolica ha iniziato un percorso a più voci finalizzato a valorizzare il documento in una dimensione educativa, come è proprio di un’istituzione universitaria. Costruito come progetto interdisciplinare, il percorso è articolato con la formula dei laboratori e coinvolge gli studenti, i docenti, gli operatori di settore e l’autorità di vigilanza.
Elena Beccalli, Andrea Perrone
Andrea Perrone è Professore ordinario di Diritto commerciale presso la Facoltà di Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.
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