Mediterraneo
di Daniele Piccini
Quando la vidi ai bordi della notte
aveva gli occhi appuntiti e severi
di chi ha traversato ogni altra nenia.
Di case e di torrenti dell’infanzia
restava un’ombra incerta ed appassita
ai lati dello sguardo fatto fisso.
“Non per me parlo, diceva ostinata,
io sono persa insieme a quella che
da me ebbe il latte e il tepore di un nido.
Per me è dirotta ogni via di ritorno
e solo bramo la notte, e la pace
che stende su ogni cosa, anche su noi
che pace non abbiamo e non avremo
mai più, fino che luce ci colpisce.
Mai più. Parlo per quelli che mi sono
fratelli, non di sangue né di stirpe
ma di specie: più tardi, quando è nota
l’enorme vacuità dello sperare
dall’uomo un che di umano, nulla resta
possibile volere, non la quiete,
non la vita: li prego che non credano
di trovare nell’uomo umanità,
le bestie l’hanno a volte per istinto
altri l’hanno dispersa dividendo
l’umano in numeri, in algebre, in calcoli:
quelli che votano e quelli che muoiono,
la carne da saziare contro quella
da far andare a male, oscura stella
della viandanza: come se per scelta
si nascesse all’andare, al turbinare…”.
Vorrei accarezzarla nei pensieri
che nutre intirizziti, farla volgere
ad altro, alla scrittura sulla sabbia.
Nessuno ti condanna, non il frutto
defunto del tuo ventre… Ma desiste
la voce nel sentirla, nel trovarla
madre materna sempre dolorosa,
che ci insegna a pregare dove tutto
abbiamo noi perduto; mentre in lei,
tra i poveri per cui geme la terra,
ancora trema il debole di dure
beatitudini fatte qui presenti.
Daniele Piccini
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