Quale genere letterario dopo la pandemia?

Quale genere letterario dopo la pandemia?

22.05.2021
Claudio Piersanti, Goffredo Fofi e Ferruccio Parazzoli rispondono alla provocazione di Giuseppe Lupo, con un appello corale all'intelligenza libera, fuori dalle gabbie della cronaca e del branco social.

UN DISPERATO BISOGNO DI INTELLIGENZA
di Claudio Piersanti

Tutto ciò che fa parte del mondo entra nella letteratura, e naturalmente nella poesia e nell’arte in generale. Siamo la nostra storia, nessuno può né vuole dimenticarlo. Ci si sente già da un po’ nel nuovo, nel post, dove tutto è finito e dove si ricomincia. Se non hai azzerato tutto non capisci il tuo tempo. Atteggiamento più ricorrente di quanto si creda: quante avanguardie hanno buttato nella spazzatura il vecchio… Per poi scoprire che la storia porta con sé avanguardie e retroguardie senza distinzioni. Un vecchio quadro futurista pieno di crepe e un po’ ingiallito, alla fine sembra più vecchio di un primo manierista. Entrerà in quel che leggeremo e scriveremo anche la pandemia, spero non nelle forme un po’ noiose (diaristiche) che si sono lette finora. Le nostre infinite capacità di adattamento non sono state messe tutte alla prova ma le conosciamo, se non altro come lettori. Campi di sterminio, gulag, prigioni infernali. Eppure qualcuno resisteva, qualcuno ha potuto raccontare. Soltanto ora possiamo valutare l’effettiva portata delle ultime guerre, che hanno scavato una trincea ogni volta tra un prima e un dopo. La rimozione terapeutica dei dopoguerra era sana perché imponeva l’accettazione di un sintomo. Era una rimozione attiva, vitale. La vitalità era il sintomo della rimozione.

La rimozione della pandemia, se ci sarà, sarà doppiamente illusoria. Non soltanto perché ripristinare il Prima sarebbe tutt’altro che risolutivo, essendo il Prima una sorta di lungo crepuscolo tra una crisi e l’altra. Già, Prima: eravamo davvero felici? La seconda illusione è la certezza inconscia che non avverrà mai più. Magari si troverà qualche responsabile di disservizi o asinerie, ma forse prima di tutto sarebbe bene capire le cause di un fenomeno così esteso e paralizzante. Sappiamo maneggiare i numeri, sappiamo adoperare i nostri potenti microscopi. La sovrappopolazione, la globalizzazione, l’industria alimentare, la desertificazione, gli allevamenti intensivi, la miseria crescente. Tutti i grandi problemi sono per forza in stretta relazione con le pandemie. Ci sono cause e concause. Ma il gioco (un gioco logico, per ora) non prevede soluzioni parziali o momentanee. Ci preoccupiamo troppo di noi e non ci preoccupiamo affatto del mondo. Trovo sopravvalutati i tanto temuti (catastrofici) effetti psicologici, soprattutto tra i giovani. Non credo che ne usciranno più ignoranti e infelici di prima, sottovalutare la loro enorme capacità di adattamento mi sembra sciocco. Anche se i tanti morti impongono l’immagine della guerra in realtà non ci sono stati bombardamenti.

Forse qualche giovane avrà trovato Qualcosa in questi mesi vuoti. Un libro scovato nella stanza del nonno, un film, una vocazione, un interesse, una passione. Qualcosa che magari non sarebbe avvenuta a scuola, che non è mai tutta la formazione di un individuo. Per esempio scoprendo la bellezza dell’intelligenza, dell’apprendere per conto proprio, il contrario cioè del debolissimo pensiero corrente, fiero della propria ignoranza e della propria volgarità. Perché questo è il nuovo narcisismo di massa: la fierezza della propria ottusità. Che purtroppo coinvolge anche molti scrittori di questi ultimi anni. Allontanarsi dal branco è sicuramente un bene, e non soltanto per i giovani. Gli individui formano le comunità, i branchi sono soltanto buoni per la guerra. L’epoca che si apre ha un disperato bisogno di intelligenza. I facili scenari utopico-distopici con l’intelligenza (e con il futuro) hanno poco da spartire.


SOTTO E CONTRO IL TALLONE DI FERRO
di Goffredo Fofi

Se ci sarà un futuro abbastanza duraturo, non credo che la pletora degli scriventi (dei frustrati, dei narcisi) possa diminuire, al contrario. E quindi batterà tutte le strade possibili, ma soprattutto quelle della nostalgia per un passato in verità (il loro) un po' coglione; ri-leggerà (superficialmente) i grandi libri di ieri, anche a casaccio, e li convocherà a nobilitare le proprie riflessioni; racconterà le proprie spirituali ambasce secondo i dettami di un narcisismo consolidato da tempo anche nelle sue forme narrative. In pochi o pochissimi si potrebbe al contrario riconoscere il disagio di sentire le nostre colpe e insufficienze, e potrà magari risorgere anche una buona letteratura di tipo filosofico-religioso non solo consolatoria, anzi, diciamo così, savonaroliana, ma che riguarderà probabilmente pochissime anime nobili, della schiera ridottissima dei giusti e dei dolenti per sé e per tutti e per la natura. Anche religiosamente bestemmiatrice...

O infine una letteratura immaginifica e anche sperimentale, massimalista o minimalista non importa ma dovrebbe essere soprattutto massimalista, preoccupata di un incerto futuro, responsabile nei confronti delle nuove generazioni se ce ne saranno. e tenendo conto delle altre mutazioni a venire, soprattutto ecologiche. Peraltro mi pare stia nascendo una letteratura neo-naturista, se si può chiamarla così, che sta spostando la sua attenzione dall'umano al vegetale e magari al minerale... E qualcuno - bravo o solo furbo - rileggerà, per trovarne ispirazione, la grande fantascienza degli anni cinquanta, quella che prevedeva le catastrofi e cercava di raccontare il dopo, il mondo dei sopravvissuti; che è un "genere" già da tempo, bene o male,  presente.

 
NO AL PENSIERO UNIFORMATO
di Ferruccio Parazzoli

Anch’io ho scritto un libro su un’epidemia, Happy Hour. L’ho scritto l’anno scorso, è uscito nel gennaio 2020, soltanto due mesi prima della pandemia Covid. Le epidemie e le catastrofi non si romanzano a coda di cronaca, si scrivono prima che scoppino, così hanno fatto ottimo maestri e precursori come Kurt Vonnegut. Metafore della condizione umana. Anche la celebre epidemia di Camus è una metafora, non un fatto realmente accaduto nella città di Orano, è la chiara messa in guardia di un ritorno del nazismo. È uscito di recente, anche in Italia, un piccolo libro di Don De Lillo, Il silenzio, il mondo che piomba all’improvviso nel buio e nel silenzio, la tecnologia è azzerata, gli schermi si spengono, è il buco nero in cui stanno scivolando le nostre esistenze. Ancora una metafora.

Anche Happy Hour è una metafora, un’epidemia non dei corpi ma degli animi, una serie di suicidi nella città metropolitana di Milano.
È un’epidemia che scoppia nel luogo del benessere, nella ‘Città da bere’ come un aperitivo nell’Happy Hour.
Assurdo scrivere romanzi di cronaca, per questo bastano e avanzano i giornali. Scrivere oggi sul Covid 19 è fare come il cane che si morde la coda piena di pulci , gira su se stesso e sovente non la trova.
Scrivere è camminare tra la folla, il proiettile d’argento in canna, una periscopica attenzione pronta allo scatto.
Scrivere, come ho scritto altra volta, è una roulette russa, il contropelo alla cultura contemporanea: informativa, espositiva, ventriloqua.
La narrazione, opera del linguaggio, è, come il mito, una forma non diretta di decodificazione del mondo, trasformazione del caos in ordine: dare un senso superiore, non necessariamente etico, ai singoli fenomeni, superare la violenza dei significati nati dalla paura e dal dolore.

Il pensiero non ha ordine. Un pensiero uniformato è un pensiero imbellettato. Il pensiero procede per esplorazione. Purtroppo lo segue la truppa a pretendere un proprio ordine. Il pensiero uniformato, anticamera del totalitarismo, adottato dalla massa perché uniforme.
Scopo dell’artefice (eliminare il termine ‘artista’) è perseguire un filo d’ordine nel caos. L’artefice cerca ovunque, sotto il caos, metaforizzando il caos, il filo dell’ordine che dia un senso al vivere. È il pilota che segue la rotta indifferentemente nei mari calmi o tempestosi.
Si presenta ogni volta, in ogni dramma individuale o collettivo , ma ancor più nell’indifferenza che pervade il quotidiano, il dubbio se ci sia uno scopo di esistere - e quale esso eventualmente sia - per una specie, quella umana, che si è creduta, e nonostante tutto si crede ancora (è il vizio della specie) padrona del mondo fisico e metafisico, della Scienza e di Dio, quando basta una presenza malefica, invisibile e sconosciuta (un virus, o non potrebbe essere altro?) a umiliarne i comportamenti e le regole. Nasce il sospetto, il timore reciproco, per mettere a zero l’economia della società e accrescere la povertà individuale, mentre il denaro virtuale sale e precipita come un bolo nello stomaco delle Borse mondiali.

Un fantasma si aggira nella Città degli Uomini, il fantasma del nichilismo debole. Il nichilismo è l’anima della negazione. Quando il nichilismo si identifica con se stesso, perfino il nichilismo indebolisce e muore, Da questo momento il nichilismo della Città dell’Uomo è solo il fantasma del nichilismo. Sulla Città dell’Uomo si sparge la cenere del nichilismo, sui volti degli uomini compare la maschera dell’assenza.
È notte nella strada buia, deserta, vedo un uomo appoggiato a un muro, non gli si vede il volto. Gli passo davanti, dice qualcosa, a voce bassa, ma con chiarezza: “I fiori stanno cadendo, signori” annuncia.

di Piersanti, Fofi, Parazzoli

 

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