TE DEUM LAUDAMUS

Dieci docenti dell'Università Cattolica si interrogano sui motivi per lodare e per ringraziare Dio. «La terra, che, senza Dio, potrebbe cessare di essere un caos solo per essere un carcere, è in realtà il campo magnifico e doloroso, in cui si elabora il nostro destino eterno» (H. De Lubac, Natale 1943).
di Nicolangelo D’Acunto
Salvum fac populum tuum, Domine, et benedic hereditati tuæ.
Quest’anno ti lodiamo, o Signore, perché noi e i nostri giovani abbiamo ritrovato il desiderio e il gusto di tornare a vivere insieme la meravigliosa e comune avventura dell’Università. Era forte, dopo gli anni duri della pandemia, la tentazione di continuare a isolarci, a seguire le lezioni e a impartirle comodamente da casa nostra, a distanza, mettendo in discussione un modello, quello dell'università, nato nell'Italia medievale e fondato sulla condivisione quotidiana del sapere tra i professori e i loro allievi. La distanza che ci separava dai nostri studenti ha rischiato di privarci dell’in-contro vero, quello che comporta non solo di muoversi verso gli altri per aprire il guscio dei nostri orizzonti limitati e delle nostre certezze, ma anche di “andare contro” la realtà, per accettarne la sfida e farci provocare. Questo significa crescere, insieme ma ciascuno al suo posto, ciascuno con la propria quotidiana appagante fatica.
di Roberto Cicala
«È stata uccisa con sei proiettili» ha annunciato Twitter la morte di Hadith Najafi, 20 anni, iraniana, mentre manifestava in piazza nella città di Karaj. Questa ragazza è un dono, immeritato, in quest’anno trascorso. Una studentessa come le nostre matricole in Università Cattolica, che proclamava soltanto ciò che credeva giusto: la libertà e la giustizia. Perché i nostri giovani sono così: con passione esprimono le loro idee, anche quando non sono mediate o troppo meditate, ma sono sempre vere. Hadith si era raccolta i capelli biondi in una coda dopo essersi tolta il velo: i colpi l’hanno presa alla testa, al collo, al torace e all’addome. Nella sua ultima foto ha il volto insanguinato e di lì a poco sarebbe stata senza vita. Ma continua a vivere. Per questo è un dono alla nostra umanità e alla nostra civiltà, anche alla nostra cultura. E dobbiamo ringraziare di averlo ricevuto nel 2022. Hadith è l’immagine simbolo di un anno in cui i giovani ci impongono di cambiare, perché non si può più tornare indietro: «È stata uccisa con sei proiettili». Ma, è stato detto, «non hanno colpito il cuore»: quel cuore continua a battere. Grazie ai giovani del mondo.
di Mauro Magatti
Per la forza d'animo del popolo ucraino.
Attaccata, torturata, umiliata, un’intera nazione ha reagito con dignità e unità. Mostrando al mondo che è giusto, doveroso e possibile resistere all'invasore.
Anche quando sembra difficile, anche quando le condizioni sono avverse, si può reagire, unendosi, in nome della libertà.
Per difendere i propri bambini, i propri anziani, la propria storia, uomini e donne da tutta l’Ucraina si sono levati accettando di sopportare sofferenze enormi. Come popolo che si forma di fronte al pericolo comune.
Dopo quello che accaduto in questi mesi, nessun dittatore potrà mai pensare di voler sottomettere un popolo intero. Tanto meno oggi, al tempo della globalizzazione.
Il tempo delle conquiste è passato per sempre.
Grazie per aver resistito. Grazie per il sacrifico delle vostre vite.
Avete difeso voi stessi, ma tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
di Massimo Bordignon
Nel 2022 l’Europa si è svegliata bruscamente da un sogno di pace durato oltre 70 anni, il sogno che dopo secoli di massacri non ci sarebbero state più guerre all’interno dei propri confini. È vero, qualche avvisaglia contraria c’era già stata, nei Balcani, in Crimea, nei conflitti civili interni ad alcune nazioni. Ma nulla aveva fatto presagire l’invasione russa dell’Ucraina e il rischio dell’accendersi di una guerra globale che inevitabilmente avrebbe trovato il suo fulcro nuovamente nei paesi europei. Si deve ringraziare che non sia successo e che si sia riusciti a contenere il conflitto pur senza arretrare di fronte ad un atto di violenza. Suscita speranza il fatto che nonostante tutte le differenze politiche ed economiche i paesi dell’Unione Europea, dopo aver affrontato assieme la pandemia, siano riusciti a rimanere uniti anche di fronte a questa nuova crisi. Su questa stessa unione si deve costruire per affrontare i gravi problemi creati dalla stessa guerra, dalla crisi energetica e l’inflazione alla recessione imminente, con la speranza che questo sia strumentale anche ad una rapida risoluzione del conflitto.
di Giovanni D’Angelo
La Costituzione repubblicana, promulgata il 27 dicembre 1947, compie 75 anni. È l’occasione per esprimere profonda gratitudine nei confronti dei padri costituenti. Nonostante il tempo trascorso, infatti, la Costituzione mantiene una straordinaria forza propulsiva, soprattutto in ragione di due profili che connotano i principi fondamentali: il fine umanistico e il rapporto tra diritti e doveri.
La Costituzione colloca al centro la persona, l’uomo nelle sue relazioni e nei suoi legami. Diritti inviolabili e doveri di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2) sono in rapporto di stretta connessione e reciproca dipendenza, rappresentando un complesso unitario, che prescinde dal criterio della cittadinanza italiana e accomuna tutti.
L’obiettivo fondamentale è il «pieno sviluppo della persona umana» e impone interventi per la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che possano limitare, anche solo di fatto, «la libertà e l’eguaglianza» di chiunque si relazioni con le istituzioni (art. 3 comma 2). Sebbene in termini differenti, intervenire è compito del legislatore, della giurisdizione e anzitutto della pubblica amministrazione, che si confronta quotidianamente con situazioni concrete di difficoltà e fragilità, non solo di ordine materiale, che richiedono il suo intervento.
Grazie, dunque, ai padri costituenti perché rispetto alle sollecitazioni che ci provengono dall’attualità il progetto della nostra Costituzione è (ancora) chiaro e non ammette indifferenza.
di Simona Beretta
Ringraziare per questo 2022: anno di guerre, di dolore innocente, di faticosa convivenza, di parole che non trovano ascolto… sì, ringraziare è possibile; anzi, è dolce. Alla fine di questo 2022, devo ringraziare per la concretezza di molti abbracci di consolazione. Abbracci finalmente fisici, sospesi nel lungo tempo della pandemia, con gli amici di sempre - ora un po’ più anziani e fragili. L’abbraccio, simbolico ma concreto come pietra scintillante, di una piazza san Pietro piena di pellegrini in festa. E anche l’abbraccio imprevisto e davvero consolante con le molte persone incontrate a motivo del Dizionario di dottrina sociale della Chiesa: un lavoro comune di dialogo fra ricerca e magistero sociale che è spesso fiorito in una amicizia semplice, capace di rilanciarci nella affascinante esplorazione delle cose nuove del XXI secolo. Ringrazio dunque della consolazione di questi abbracci – espressioni del grande abbraccio della santa madre Chiesa. La consolazione, ci ha ricordato papa Francesco citando Edith Stein, è una pace che mette in cammino.
di Roberto Bernabei
Ho compiuto 70 anni il 24 gennaio e, come da regolamento, sono andato in quiescenza con il primo di novembre. Beh…quiescenza è parola bruttina, assai meglio il retirement anglosassone, ma contiene dentro di sé il concetto di quiete. E se hai passato una vita “veloce” e densa di fatti belli e brutti… la quiete è meraviglia, è tregua, è senso. Allora quest’anno con il retirement ha portato il senso di scoprirsi, di cercare chi si è veramente al di là della velocità e dei fatti che nella loro successione spesso coprono, semmai, qualche vuoto di senso. Quindi retirement come occasione di vita, certamente favorita dal definitivo affermarsi della longevità (curiosamente studiata per tutta la mia esistenza) che ci regala una ventina d’anni supplementari in genere in discreta salute fisica e mentale. Quindi ringrazio per il rallentamento, per l’uscita di scena tranquilla e silenziosa, per la consapevolezza che c’è alfa e omega e che quando si è ad omega… è magnifico accettarlo senza la necessità di alcun “grazie” da altri. Il grazie e la grazia vanno insieme, e sono dentro di noi, semmai.
di Matteo Stefanelli
Nella storia del fumetto, poche opere hanno rappresentato la gratitudine per lo spirito del Natale e per il dono della vita come Calvin e Hobbes. Il capolavoro anni Ottanta del “Salinger dei comics” Bill Watterson, che narra le avventure quotidiane di un indisciplinato bimbo di sei anni e della sua tigre di pezza (e amico immaginario, peraltro), è non solo uno dei più memorabili gioielli della forma breve per eccellenza nel fumetto, la striscia, ma anche un inno alla meraviglia e all'apertura dello sguardo. Il piccolo Calvin rifiuta di giocare agli sport di squadra organizzati e si inventa il suo caotico “calvinball”; evita in tutti i modi di mangiare la minestra; fa scherzi telefonici; si perde in battaglie a gavettoni; e per la scuola non prova, per così dire, un grande trasporto.
Ma tanto nelle sue fantasticherie come sognarsi nei panni del coraggioso astronauta Spiff o del supereroe Stupendoman, quanto nell'abbandonarsi a estenuanti battaglie a palle di neve o nel creare improbabili pupazzi di neve mostruosi, non smette mai di girare intorno al nucleo centrale del senso di tutti noi: vivere insieme la magia della vita. In una delle più celebri pagine della serie, ambientata a Capodanno, Calvin cammina affondando nella neve fresca: “Non è meraviglioso?”. Il tigrotto Hobbes gli risponde eccitato: “È tutto irriconoscibile! Il mondo pare tutto nuovo!”. Per Calvin è proprio “Un anno nuovo... un nuovo inizio, fresco e pulito!”, e Watterson lascia a Hobbes trovare la metafora giusta: “È come avere un grande foglio di carta bianca su cui disegnare!”. E mentre siede sulla slitta, pronto a lanciarsi in un'adrenalinica discesa, Calvin coglie il punto a modo suo, rivolto alla tigre: “È un mondo magico, Hobbes, amico mio. Andiamo a esplorarlo!”. A noi tutti, lettori, immaginare il post-finale della scena seguendo con lo sguardo quei due piccoli personaggi: due macchie di colore appena accennate che, nel vasto foglio/mondo bianco, si tuffano verso il suo bordo estremo in basso a destra, solcandolo con l'energia cinetica di chi ringrazia di essere qui-ed-ora e guarda avanti, e oltre, per crescere e farsi uomo.
di Ciro De Florio
Di cosa rendere grazie in questo finale di anno (freddissimo, finalmente), in cui un nemico invisibile e ingombrante ha lasciato il posto allo spettro antico e rinnovato della guerra? Vorrei dire semplicemente grazie a tutte le persone, le donne, gli uomini, le ragazze e i ragazzi, che sono stati razionali. Non va più molto di moda; ma nel frastuono sciatto e scomposto della miriade di opinioni, adeguatamente apparecchiate per vendere un pluralismo fasullo, sono grato a tutti coloro che si sono fermati a contare. Sulle dita di una mano, come i bimbi delle elementari, le ragioni pro e contro. E per ogni ditino, ancora, instancabilmente, hanno pesato gli argomenti, valutato i punti di vista, confrontato i dati. Ringrazio tutte le volte in cui le persone che hanno responsabilità importanti hanno lasciato perdere le osannate narrazioni e hanno dato spazio alle teorie con le loro dinamiche intrecciate. Ringrazio ciascuno di noi quando, nel suo piccolo, tiene acceso questo fragilissimo lume e lo ripara dal vento gelido. Perché sappiamo tutti troppo bene che cosa accade quando, in notti buie e lunghissime come queste, la ragione si assopisce.
di Massimo Scaglioni
Non confundar in aeternum, non sarò confuso – non saremo confusi – per sempre. Mi ha sempre colpito questo finale che mescola la confusione, che è il segno dei tempi, e la speranza della chiarezza. O, quanto meno, per i nostri tempi, di maggiore chiarezza. La confusione sembra, sempre di più, la condizione del presente, col dissolversi liquido delle istituzioni e delle certezze. Se c’è un elemento che ha caratterizzato questo 2022 forse, finalmente post-pandemico è la consapevolezza che ciò che è nato come strumento di maggiore conoscenza può tramutarsi nel suo contrario, la comunicazione che si trasforma, nel migliore dei casi, in rumore. Sto parlando dei media, i mezzi della comunicazione globale. Quest’anno abbiamo riscoperto la propaganda – che sembrava relegata ai libri di storia dei media – così come gli scorsi anni abbiamo scoperto le fake news. L’abbondanza, il troppo di informazione che genera confusione, con o senza finalità o intenzionalità. Ringraziamo allora la fatica e il costo della buona informazione, che ci libera anche dall’illusione che essa sia “a buon mercato” o addirittura senza costo. Saremo forse un po’ meno confusi, se continueremo a volerlo.
A cura della redazione
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