Uno spunto sulla crisi dell’editoria cattolica

I recentissimi interventi di VP Plus gettano uno sguardo impietoso, realistico e allarmato sulla crisi dell’editoria religiosa, che in Italia in gran parte è cattolica. La pandemia l’ha in parte accentuata, ma – direi per la maggior parte – l’ha semplicemente svelata. La drastica riduzione delle librerie cattoliche in atto da anni nel nostro Paese; la continua segnalazione, da parte dei gestori, della loro frequentazione da parte della gente più come negozio di articoli religiosi (immaginette, statuette, coroncine) che di libri e riviste; la necessità di esporre in vetrina non le opere più serie e significative, ma quelle più appetibili e talvolta stuzzicanti per i devozionalisti o per gli amanti degli scoop ecclesiastico-vaticani… sono tutti segnali, per un verso o per l’altro, di una china imboccata già da tempo. Non sappiamo se sia possibile risalirla; è una crisi generale dell’editoria, come sappiamo, a motivo sia dell’espansione della rete digitale, sia del crescente pressapochismo culturale e informativo, in un clima dove gli slogan gridati si impongono sulle riflessioni argomentate.
Occorre però tentare una risalita, come notano gli autori di questi interventi. Ne va, per noi cristiani, dell’incidenza della fede stessa. Il famoso passo in cui Pietro esorta i cristiani ad essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15), coniuga tre grandezze inseparabili: la testimonianza, la ragione, la speranza. Sono gli ingredienti della fede, senza i quali sarebbe zoppa: la testimonianza, cioè una fede che sa intercettare le domande e sa comunicare le risposte adeguate; la ragione, il logos, ossia una fede che argomenta, evita l’irrazionale e il miracolistico, sa rendere conto delle proprie affermazioni; la speranza, cioè una fede che reagendo ad un orizzontalismo distratto e disperato, apre al futuro, il futuro dell’uomo e il futuro di Dio.
È evidente che questi ingredienti non sono assorbiti dall’editoria, ma costituiscono la “carne” delle comunità cristiane; però la “carta” sostiene la “carne”: la alimenta, la tiene viva, le porta sostegno e motivazioni. Spero che l’auspicio degli autori si possa tradurre, come essi stessi indicano, in progetti diocesani. In particolare, come segnala il dott. Fazzini, è necessaria un’alleanza tra le singole Chiese locali e gli editori – a partire magari da coloro che sono presenti sul territorio o che possono esserlo – per intrecciare e sussidiare quei cammini di formazione allargata di cui dovunque oggi si sente nuovamente la necessità.
Erio Castellucci
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