Crovi: Edgar Allan Poe e l’istinto del narratore

Quanti e quali misteri hanno realmente celato fra le loro pagine le opere prodotte negli anni da Edgar Allan Poe? Per anni critici, studiosi e lettori si sono chiesti se lo scrittore americano avesse davvero mai visitato i gorghi marini del Maelström da lui descritto in maniera visionaria. Qualcuno si è posto il problema di dove avesse mai acquisito le nozioni sul mesmerismo analizzate ne La verità sul caso di Mr. Valdemar. Qualcun altro si è persino domandato perché Poe avesse voluto occuparsi del caso di cronaca nera della povera sigaraia newyorkese Mary Cecilia Rogers nascondendo le sue vicende fra le pagine de Il mistero di Marie Rogêt. Una cosa è certa, se l’opera di Poe è disseminata di enigmi da decifrare, non meno misteriosa è stata la sua vita e ancora più strana la sua dipartita. Si sa solo che, ritrovato in gravi condizioni presso la taverna dell’hotel Ryan di Baltimora, venne ricoverato nel civico ospedale locale dove morì dopo quattro giorni di sofferenze, il 7 ottobre 1849. Sulle strane circostanze della sua morte ha indagato Matthew Pearl (all’epoca reduce dal grande successo de Il circolo Dante) in un romanzo intitolato L’ombra di Edgar.
La pubblicazione in Italia nel 2006 di quel libro da parte di Rizzoli è stata l’occasione per poter incontrare lo scrittore americano e farmi spiegare quella che per lui era l’essenza creativa del maestro del brivido di Baltimora che gli ha permesso di essere sempre attuale: «Edgar Allan Poe ha la capacità di essere estremamente sofisticato ma di non intimidire i lettori e per questo piace ancora oggi ai giovani, che non si sentono schiacciati dalla sua personalità né dal suo stile letterario. Ha uno stile che non è mai pomposo e predicatorio ma è profondamente sensibile. Poe, non inganniamoci, non è un romanziere per ragazzi. Anzi, quando lo si riscopre da adulti si scopre quanti congegni letterari siano contenuti nelle sue opere, quanto raffinata fosse la sua ricerca di nuovi stili e nuovi linguaggi. La voglia di sperimentare lo accompagnò per tutta la vita e questi sono elementi che si scoprono e si apprezzano solo leggendolo da adulti».
La grande forza dello stile e delle storie di Edgar Allan Poe è stata sottolineata nel tempo da molti autori: da Charles Baudelaire a Jules Verne, da Stephen King a Robert Bloch, da H.P. Lovecraft a Richard Matheson. E non è casuale che le opere di Poe continuino a essere adattate e ad avere successo anche ai giorni nostri, mostrando di possedere una sorta di “shine” speciale. La recente miniserie La caduta della casa degli Usher (2023), prodotta da Netflix e sceneggiata e concepita da Mike Flanagan, è riuscita ad attualizzare, rimiscelare e reinventare in soli otto episodi varie sue storie: La caduta della casa Usher, Il corvo, Lo scarabeo d’oro, Il barile di Amontillado, Il gatto nero, I delitti della Rue Morgue, La maschera della morte rossa, Il pozzo e il pendolo, Il cuore rivelatore. D’altra parte, già quando Richard Matheson negli anni Sessanta sceneggiò per il cinema I vivi e i morti, Il pozzo e il pendolo, I racconti del terrore e I maghi del terrore, per la regia di Roger Corman, sapeva in cuor suo che i racconti di Poe erano una vera e propria miniera di suggestioni emozionali e la fedeltà a quelle storie sarebbe stata premiata dalla rappresentazione in pellicola. All’età di 77 anni il grande e rivoluzionario maestro della fantascienza americana (capace di firmare opere seminali come Io sono leggenda, Io sono Helen Driscoll, Tre millimetri al giorno e Duel) mi spiegò i dettagli di quei film durante una chiacchierata radiofonica notturna su Radiodue: «House of Usher (I vivi e i morti) è stato il primo film che mi abbiano mai chiesto di realizzare e farlo mi stava davvero a cuore. Avevo letto la storia originale di Poe e l’avevo amata e continuava a spaventarmi ogni volta che la rileggevo. La modificai leggermente, aggiunsi dei personaggi e preparai così una scaletta completa che potesse andare bene per una sceneggiatura cinematografica.»
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