fbevnts Esprit, novant’anni dalla “parte giusta”?

Esprit, novant’anni dalla “parte giusta”

24.09.2022

di Raffaele Alberto Ventura

Fondata nel 1932 dal filosofo cattolico Emmanuel Mounier, la rivista francese Esprit festeggia i suoi novant’anni. Non una rivista cristiana, ma una rivista che fin dalla sua fondazione ha fatto da ponte tra cristiani e socialisti, progressisti e conservatori. Non una rivista politica, ma una rivista che ha incessantemente interrogato i valori e le convinzioni che fanno da sfondo alla politica, attraversando i grandi eventi del Novecento, a partire dalla Seconda Guerra mondiale, dal Sessantotto e dalla guerra in Jugoslavia.

Non sono tante le riviste che arrivano a tagliare un simile traguardo e sono ancora di meno quelle che lo fanno essendo state per gran parte della loro esistenza dal “lato giusto” della storia. Antifascista quando la borghesia francese si faceva sedurre da Mussolini, Hitler e Franco, antitotalitaria quando le sirene invece erano quelle del marxismo-leninismo, Esprit non ha mai rinunciato a denunciare innanzitutto il “disordine stabilito” della società liberale: nella sua prima incarnazione, anteguerra, promuovendo la filosofia comunitarista del personalismo contro l’individualismo trionfante; nella seconda, denunciando la brutalità della modernizzazione senza rinunciare a un afflato progressista e universalista.

In controtendenza con la visione disimpegnata delle riviste letterarie fondate nei decenni precedenti in Francia, in primis la Nouvelle Revue Française, all’origine di Esprit c’era l’idea di accompagnare la nascita di una “terza forza” politica, oltre destra e sinistra, ispirandosi alla filosofia neotomista di Jacques Maritain, alla lezione anarchica di Proudhon e all’antimodernismo di Péguy. Riferimenti associati a filoni più marcatamente conservatori, che invece Esprit nella sua storia rivisiterà “da sinistra”, in netta opposizione al cattolicesimo reazionario dell’Action Française fresco della scomunica di Pio XI.

Le due prime fasi della storia della rivista – che all’epoca è anche un movimento – sono caratterizzate dalla direzione di Emmanuel Mounier, che nella filosofia personalista vede il simultaneo superamento dell’individualismo e del collettivismo. Tra il 1932 e il 1941 Esprit è una rivista di giovani idealisti, “non conformisti”, che sognano di rimettere la modernità sui binari dai quali – complice il crack del 1929 – stava palesemente deragliando. Sospesa dal governo di Vichy, la rivista rinasce dalle sue ceneri nel 1945, assieme a una collana editoriale presso le edizioni Seuil: in questa nuova fase Esprit, reduce dall’esperienza resistenziale, si mostra più chiaramente sensibile alle promesse del socialismo, ma in una prospettiva antiburocratica, antistatalista e evidentemente antistalinista. Le riflessioni in seno a Esprit sul rapporto tra Chiesa e popolo influenzeranno il concilio Vaticano II.

La morte prematura di Mounier nel 1950, a quarantacinque anni, ribalta tutte le carte: venuta a mancare una guida carismatica, le diverse anime della rivista faticano a trovare una linea comune. Ma questa molteplicità sarà la forza di Esprit negli anni successivi, sotto la direzione di Albert Béguin (1950-57) e soprattutto di Jean-Marie Domenach (1957-1977). Erede designato di Mounier e cattolico come lui, Domenach orchestrerà con discrezione l’influenza centrale di Esprit sul dibattito degli anni Sessanta e Settanta, a partire dal sostegno alla decolonizzazione dell’Algeria. Così Esprit sopravviverà al tramonto del personalismo. Lontana dai “marxisti immaginari” seguaci di Sartre ma anche dall’ideale tecnocratico portato dalla nuova generazione degli scienziati sociali strutturalisti, la rivista di quegli anni unirà l’impegno alla responsabilità, accogliendo assieme a firme storiche come Paul Ricoeur nuovi pensatori come Claude Lefort e Cornelius Castoriadis, reduci dall’esperienza di un’altra storica rivista francese, portabandiera dell’estrema sinistra anticomunista, Socialisme ou Barbarie. I lettori francesi riconosceranno a Esprit una particolare lungimiranza sulla questione del totalitarismo, e la rivista apparirà chiaramente come uno dei laboratori della “nuova sinistra” post-marxista.

 Meno celebrato è l’impegno di Esprit sulle questioni relative allo sviluppo e all’ambiente, al cuore degli interessi di Domenach e del suo costante dialogo con pensatori come Ivan Illich e René Girard. Nello stesso tempo l’elemento cristiano della rivista-movimento si stempera, fino a diventare marginale. Eppure una continuità emerge lungo questi novant’anni, data dall’urgenza di testimoniare il male del mondo moderno unendo l’idealismo dei principi al realismo della responsabilità.

Negli anni recenti la rivista ha continuato a prendere posizione sui grandi eventi della contemporaneità, addirittura trovandosi nel 2017 con un membro del comitato di redazione – tale Emmanuel Macron… – promosso alla più alta carica dello Stato; salvo poi non risparmiargli critiche anche dure, nello stile pluralistico della rivista. Oggi Esprit non è più un movimento ma continua ad alimentare il dibattito pubblico francese reagendo ai grandi eventi, dai Gilets Jaunes alla pandemia.

Raffaele Alberto Ventura

Raffaele Alberto Ventura (Milano, 22 settembre 1983) è un saggista italiano. Scrive sul quotidiano «Domani» e sulla rivista francese «Esprit».

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