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FANTASIA E REALTÀ. SERIE TV E GUERRA IN UCRAINA

28.05.2022
di Paolo Carelli e Aldo Grasso

Le serie tv ci hanno abituato ormai da alcuni decenni a pensare e costruire universi narrativi coerenti, articolati, portatori di complessità (nelle trame e sottotrame, nei personaggi e loro relazioni, nell’infinito potenziale estensivo dei testi) tali da configurare questo tipo di prodotti come macchine sempre più potenti di storie, racconti, immaginari che non hanno nulla da invidiare al grande cinema o alla grande letteratura. Soprattutto, se c’è una caratteristica che pare aver contraddistinto la serialità (in particolare quella statunitense) nell’ultimo ventennio, questa è la sua abilità nell’interpretare i grandi fenomeni globali, nell’anticipare – in maniera talvolta clamorosamente cristallina – alcuni avvenimenti internazionali. Il caso più eclatante è quello di Homeland (2011-2020), la spy-series del canale cable Showtime che, partendo dal trauma dell’11 settembre e della minaccia del terrorismo, anticipava la paura più grande, quella del “nemico in casa” e dell’ossessione per l’islamico, riuscendo a prevedere alcuni smottamenti della società americana di inizio millennio, dai metodi brutali di detenzione dei prigionieri alle incertezze ondivaghe della Casa Bianca, coronate con l’inno all’ “America First” della sesta stagione, coinciso di fatto con l’avvio della presidenza Trump. Oppure, si pensi a un altro prodotto seriale statunitense di grande successo come House of Cards e a tutte le volte che gli intrighi del deputato protagonista Frank Underwood sono suonati come letture anticipate della realtà: l’attacco degli hacker russi, la cattura di un pericoloso terrorista mentre il protagonista è al potere (proprio come durante la presidenza Obama), i rischi di impeachment, il gelo con il presidente russo che attacca l’Antartide. E proprio sulle azioni della Russia all’interno delle serie tv vale la pena di riflettere, alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi. Perché non soltanto la serialità americana ha saputo prevedere i rivolgimenti internazionali, ma sempre di più anche produzioni geograficamente diffuse. Quali sono i titoli che, da diverse prospettive e registri di racconto, hanno anticipato la difficile situazione che stiamo vivendo? In primo luogo, va rilevato che negli ultimi anni era tornata d’attualità una rilettura critica (anche in chiave ucronica, ovvero che immagina un corso degli eventi storici da quello realmente verificatosi) del periodo sovietico e del ruolo della potenza russa nel contesto della guerra fredda; il caso più eclatante è stato rappresentato da Chernobyl (2019), la serie Hbo-Sky Atlantic che ha riportato alla memoria la tragica vicenda dell’esplosione della centrale nucleare del 1986, insistendo sui silenzi, le bugie e le rigidità ortodosse di un sistema ormai al collasso. Ma anche dai paesi dell’ex orbita sovietica sono arrivati racconti seriali meritevoli di menzione; uno su tutti è 1983 (2018), serie polacca che immagina un mondo in cui il comunismo è sopravvissuto, solleticando le angosce più recondite della popolazione, quelle di tornare a vivere sotto un modello autoritario.

Dal punto di vista strettamente legato alla capacità di prevedere quanto sta accadendo in questi mesi sul territorio ucraino, invece, è curioso osservare come emergano almeno due approcci radicalmente distinti, capaci di travalicare i confini dei singoli paesi e delle singole produzioni: uno che inserisce la complessa questione dei rapporti tra la Russia e le nazioni confinanti dentro l’universo narrativo classico del thriller internazionale, del mondo distopico che si fa tremendamente reale, e l’altra – indubbiamente più originale – che colloca drammi concreti all’interno di una cornice comedy, di un’ironia amara che aiuta a pungere e riflettere.

Occupied
Nella prima area, il titolo più rilevante degli ultimi anni è senza dubbio la serie norvegese Occupied (titolo originale: Okkupert, tre stagioni dal 2015); ideata dallo scrittore Jo Nesbø, la serie immagina un futuro prossimo in cui la decisione del primo ministro norvegese (membro del Partito ambientalista) di sospendere la produzione di gas e petrolio innesca un crisi energetica che ben presto si trasforma in emergenza democratica, con le truppe russe che occupano militarmente il paese scandinavo e che dietro il volto autoritario nascondo in realtà un profondo dilemma etico: fino a che punto saremmo disposti ad accettare un’occupazione se il nostro stile di vita non dovesse subire modifiche, anzi dovesse persino migliorare? Saremmo disposti a rinunciare alla nostra agiatezza? Nel riattivare memorie radicate nei paesi scandinavi, come il conflitto tra resistenza e collaborazionismo durante la Seconda guerra mondiale e la paura atavica di un’aggressione da est, Occupied è un thriller politico che disegna non tanto un futuro apocalittico, ma purtroppo un presente quantomai possibile, una serie in cui, per dirla con Dominique Moïsi, autore di La geopolitica delle serie tv. Il trionfo della paura (Armando editore, 2017), “si ritrovano intrecciate in modo raffinato tutte le paure del nostro tempo, dal riscaldamento climatico alla crisi del modello democratico”. Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca anche un prodotto internazionalmente meno noto, ma comunque significativo: si tratta di Reetur (letteralmente “il traditore”), una spy-series estone (2019) ambientata nel 2004, alla vigilia dell’ingresso dell’Estonia nella Nato, in cui un ufficiale del ministero della difesa viene avvicinato dai russi di cui diventerà segreto informatore. Ispirata a una storia vera, Reetur ha il merito di aver riacceso in tempo i riflettori (almeno in patria) su una questione che oggi vediamo essere cruciale nelle dinamiche del conflitto ucraino e nella propaganda putiniana: l’allargamento a est della Nato.

Servant of the People
Sull’altro versante, troviamo invece una lettura di previsione della realtà che ha sposato toni comedy, di una leggerezza finalizzata a esorcizzare e al contempo esasperare i timori di un mondo in allarmante trasformazione.
Il caso più eclatante è senza dubbio la fiction ucraina Servant of the People, in cui l’ancora attore Volodymyr Zelensky si immagina in un percorso che lo porterà a diventare presidente del suo paese; una fantasia che si è tradotta in realtà ponendo Zelensky di fronte alla sfida più difficile del suo popolo. Acquisita anche in Italia e in onda sul canale La7, la serie racconta la storia di un professore di storia (Vasyl Goloborodko), interpretato appunto dallo stesso Zelensky, che grazie a un video virale sul web (un generico appello all’onestà) diventa acclamato primo ministro. Servant of the People è impregnata di riferimenti alla cultura ucraina (compresa la difficile convivenza con il mondo russo), ma è anche un condensato universale di valori, quasi un anticipo di quella linea di demarcazione tra ciò che è Occidente e ciò che non lo è, che lo stesso Zelensky (quello vero) ha trasformato abilmente in una delle chiavi di lettura della guerra. Mancano i carri armati e le bombe in Servant of the People, la capacità visionaria dell’attore non poteva certo spingersi a tanto, ma tutti i meccanismi del potere e del rapporto tra politica e comunicazione vengono inanellati con una certa puntualità.

Years and Years
Un altro titolo che ha previsto l’invasione russa dell’Ucraina, pur dentro un quadro di altre profetiche follie più o meno materializzatesi, è la serie britannica Years and Years (2019), una co-produzione Bbc-Hbo disponibile in Italia sulla piattaforma a pagamento Starz Play.
La serie è una comedy famigliare che ruota intorno alle vicende dei quattro fratelli Lyons di Manchester, delle loro rispettive famiglie e dell’anziana nonna. La serie presenta un curioso meccanismo di costruzione temporale, con i mesi e gli anni che si susseguono di episodio in episodio fino a delineare il mondo del 2035. Nei primi episodi, si delinea un quadro internazionale fosco che annovera, tra gli altri avvenimenti, l’ascesa politica di un’oscura imprenditrice a capo di un movimento populista chiamato Four Stars (la “quattro stelle”), la scomparsa di Angela Merkel, una guerra nucleare tra Stati Uniti e Cina e, soprattutto, l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo con conseguente emergenza profughi che finisce per il coinvolgere lavoro e sentimenti degli stessi protagonisti. È nei meccanismi della commedia, come spesso accade, che si nascondono le anticipazioni più drammatiche della realtà.

di Paolo Carelli e Aldo Grasso

Paolo Carelli è ricercatore presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore dove insegna Storia e linguaggi del broadcasting e Teoria e tecnica dei media nelle sedi di Milano e Brescia. Svolge attività di ricerca presso il Ce.R.T.A. (Centro di ricerca sulla televisione e gli audiovisivi) ed è coordinatore didattico del Master “Fare TV. Gestione, sviluppo, comunicazione”.

Aldo Grasso è professore di Storia e linguaggi del broadcasting presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Critico televisivo ed editorialista per il «Corriere della Sera», è fondatore del Ce.R.T.A. (Centro di ricerca sulla televisione e gli audiovisivi).

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