Israele-Palestina: la tregua diventerà pace?

La tregua stipulata fra Hamas e Israele ed entrata in vigore il 19 gennaio è sul punto di scadere e di lasciare spazio alla seconda fase della trattativa, una fase che si prevede ancora più difficile della prima. Questa era infatti stata letteralmente imposta a Netanyahu da Trump, il giorno prima di assumere la presidenza. Era costata a Netanyahu la perdita del suo ministro più estremista, Itamar ben-Gvir, ma la permanenza nel governo dell’altro ministro accesamente estremista, Smootrich, gli aveva consentito di restare in carica. Sei settimane sono passate, e molti fatti sono accaduti nel frattempo, mentre forti appaiono le resistenze del governo israeliano a trattare sulla seconda fase e a delinearne i contenuti. Favorevole sembra invece Hamas.
Innanzitutto, in questa prima fase sono stati liberati tutti i 33 ostaggi ancora in vita previsti dall’accordo e sono stare restituite le salme di altri quattro, fra cui i fratellini Bibas, crudelmente assassinati dai terroristi e non morti, come sostiene Hamas, in seguito ai bombardamenti israeliani, i bambini dai capelli rossi che sono divenuti il simbolo degli ostaggi. Da parte israeliana, sono stati liberati circa duemila detenuti palestinesi. Una parte di loro, erano detenuti condannati all’ergastolo per terrorismo. Ma altri erano palestinesi arrestati dopo lo scoppio della guerra in via amministrativa e detenuti senza processo, una misura prevista dalla legge israeliana, che recentemente è stata limitata ai soli palestinesi, escludendone gli ebrei.
Dal punto di vista della tenuta della tregua militare, dopo alcune iniziali violazioni da ambo le parti, essa ha retto. I bombardamenti sono cessati e molti abitanti di Gaza, cacciati dalla guerra, hanno fatto ritorno nella Striscia, ridotta però ad un cumulo di macerie. Molti vivono in tende, all’addiaccio, e tutti mancano dell’acqua e dell’elettricità. Con l’inizio della tregua, sono ripresi gli aiuti umanitari agli abitanti della Striscia, precedentemente ridotti al minimo.
Questi i fatti avvenuti in queste settimane. Più importante, per quanto riguarda la situazione di Gaza, sono le ipotesi emerse dal presidente americano Trump di un’espulsione (in alcune dichiarazioni definite temporanee, in altre permanenti) dei gazawi dalla Striscia e della creazione a Gaza, sulle rive del mare, di resorts turistici di lusso, ipotesi che i palestinesi, e non solo loro, hanno definito come una forma di “pulizia etnica”. L’ipotesi sembra tuttavia poco realizzabile, sia perché i due milioni di abitanti di Gaza non avrebbero dove andare, perché Egitto e Giordania hanno respinto l’ipotesi di accoglierli, sia perché al centro dell’interesse di Netanyahu non è Gaza, nonostante la guerra disastrosa che ha portato alla sua distruzione, ma la Cisgiordania, di cui si prospetta sempre più concretamente l’annessione ad Israele.
Un altro elemento centrale è quello del vergognoso carnevale propagandistico con cui Hamas ha rilasciato gli ostaggi, non solo quelli in vita ma anche le salme dei morti: un palco a Gaza circondato da miliziani dal viso coperto e con le mitragliette alzate, allegre musichette, folle di bambini e civili plaudenti intorno, certificati di rilascio come se si fosse trattato di un rilascio da una prigione. Cerimonie che avevano l’obiettivo di mostrare Hamas ben vivo e in buona salute e di umiliare gli ostaggi e Israele. Certo, possiamo immaginare che le folle palestinesi plaudenti non fossero del tutto spontanee, ma qualche dubbio ne nasce, e ancor più ne è nato negli israeliani che guardavano in TV queste scene.
Pochi giorni fa, poi, il rilascio delle salme ha creato grande disorientamento e angoscia in Israele, tanto che la giornata ha richiamato in molti l’orrore del 7 ottobre. Emozioni che hanno certamente fatto crescere il numero di coloro che hanno rinunciato a battersi per la pace, che già erano molto diminuiti. Forse proprio l’ostaggio più vecchio restituito in una bara, l’84enne giornalista che si è battuto tutta la vita per i diritti dei palestinesi, Oded Lifshitz, sarebbe stato fra quanti non avrebbero rinunciato alla loro battaglia.
La seconda fase, che dovrebbe iniziare il 1marzo, prevede il rilascio di tutti gli altri ostaggi ancora in vita e il consolidamento della tregua che dovrebbe diventare permanente. Che il governo di Netanyahu sia piuttosto favorevole alla ripresa della guerra a Gaza è noto, ma questa ipotesi è resa difficile dalla questione degli ostaggi, che è centrale nelle percezioni degli israeliani e non solo della sinistra. Gli ostaggi non hanno più tempo, altrimenti si restituiranno solo bare. Sarà possibile per il premier rinunciare apertamente a salvarli? O accetterà di arrivare ad una seconda fase della tregua a Gaza, con la restituzione di tutti gli ostaggi, ma forse compensandola con l’accelerazione dell’annessione della Cisgiordania, spostando cioè la guerra da Gaza alla Cisgiordania? Le operazioni militari a Jenin, l’aggravarsi degli attacchi dei coloni in quella zona, le ipotesi che filtrano a livello governativo sono indizi di una scelta che ormai punta non a Gaza ma alla Cisgiordania e a mettere quindi una definitiva pietra tombale su qualunque ipotesi, sia pur ridotta, di Stato palestinese. Ma mai come sotto la presidenza Trump gli scenari sono aperti e imprevedibili.
Anna Foa
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