fbevnts Vermiglio, un capolavoro fra maschile e femminile

Vermiglio, un capolavoro fra maschile e femminile

23.11.2024

di Goffredo Fofi

Ci piacque molto Maternal, il primo lungometraggio di Maura Delpero, lento e austero e decisamente diverso dal giovane cinema del tempo, e ci esalta vederla autrice di recente di un nuovo film giustamente molto apprezzato e premiato (e in corsa ai prossimi Oscar come migliore film straniero), di Vermiglio che è un ritratto famiglia e di comunità nel corso di più anni.

Gli anni sono quelli della guerra e del dopoguerra su cui anche è tornato un altro affascinante e coinvolgente film italiano di questi ultimi tempi, quello a disegni animati di Simone Massi Invelle. Massi vi raccontava il piccolo comune di Pergola, tra Gubbio e Urbino. Più ritratto di comunità quello, più ritratto di famiglia questo di Delpero, ma che perfettamente sa collocare questa famiglia nel tempo, che è quello della seconda guerra mondiale e del dopoguerra. E si può dire che, se lo sguardo di Massi sulla storia di ieri vi è decisamente maschile (e anche “politico”, di conseguenza), quello di Delpero è decisamente femminile – un punto di vista che coinvolge e commuove e che è, nel risultato, altrettanto “politico”. (Io che qui scrivo ho vissuto quegli anni al tempo dell’infanzia – dentro una grande famiglia contadina. Un tempo sconvolto dalle paure del 1943-’45. Un tempo che   in Vermiglio mi è sembrato di ritrovare.)

Nonostante tutto il cinema è vivo, e dà di tanto in tanto nuovi capolavori. Nonostante la sua riduzione ad arte minore, e la tremenda concorrenza di nuovi mezzi di informazione/formazione che lo hanno quasi ucciso, è ancora vivo quando riesce ad affrontare lo spettatore con i mezzi della poesia - una poesia che ha tuttavia forti radici storiche e sociali… come Vermiglio dimostra.

Il primo lungometraggio di Delpero si chiamava Maternal, un titolo che andrebbe bene anche per Vermiglio, che è il nome di un paese di montagna trentino ma che insiste anch’esso più sul famigliare che sul sociale e sul femminile che sul maschile, riuscendo tuttavia a rendere evidente il contesto e a fare del “privato” una precisa lettura del “pubblico”. A partire più dai “giorni” che dalle “opere”, anche perché il protagonista di un film tutto al femminile è il maestro elementare della piccola pluriclasse di una scuola di montagna, in un villaggio di pochi abitanti. Usanze economiche e comunitarie antiche – e le seconde dettate perlopiù dalle prime – in cui hanno un gran peso le stagioni, con la ripetitività degli impegni e doveri, con la precisa definizione dei ruoli – il maschile e il femminile, l’infantile e l’adulto.

Luogo di incontro decisivo è la scuola (e solo sul fondo la chiesa), anche per il sentimento di appartenenza a una precisa comunità, e per gli adulti l’osteria. Ché poco altro – lavori a parte, stagioni a parte – lega tra loro i bambini così come lega gli adulti, in un tempo che sembra immutabile ma che è la guerra e non la natura ad aver sconvolto. Descritta mirabilmente la vita di una famiglia (il padre, figura dominante, è il maestro) dove però sono le donne a essere in maggioranza, e sono i rapporti tra di loro – pur nella comune sottomissione al maschio, che per di più è anche il maestro, il trasmettitore di un sapere che va oltre l’ambiente e che anzi, essendo lui quello “che sa di più”, diventa l’indicatore e giudice delle possibilità ma anche dei limiti concessi ai suoi figli e figlie – dall’ambiente, dalla società di quegli anni. E tuttavia sono le donne le trasmettitrici di valori che vanno oltre quelli della società costituita, del “maschile”. Le radici più solide, la morale più autentica.

Ed è, come nelle famiglie di un tempo, il letto comune delle bambine e adolescenti, delle femmine, e di giorno il dialogo assiduo con le madri le nonne le vicine e anche le coetanee, il luogo delle confidenze e delle riflessioni.

Il padre (il maestro) è di fatto il “padrone”, ma le donne, proprio perché tra loro dialoganti e perché ragionanti, sono il vero cardine della famiglia e della società. Ripeto: il punto di vista della regista privilegia il coro femminile alle figure maschili, anche se è il padre-e-maestro il fondamentale portatore del giudizio, della morale.

A sconvolgere un ordine antico è la guerra, è l’arrivo di uno “straniero”, un soldato siciliano che sposa la maggiore delle ragazze mettendola incinta, ma che ha già una moglie nel suo paese e che, sceso infine nell’isola, non dà più notizie di sé e non risponde a nessuna delle lettere della seconda moglie… La moglie montanara scoprirà infine che l’uomo è stato ucciso dall’altra moglie in seguito alla scoperta della sua bigamia; scenderà nell’isola e vedrà, non facendosi riconoscere, l’altra vedova e l’altro figlio dell’uomo amato, e accetterà senza rancore il proprio destino.

È qui forse l’unico intoppo nel giudizio estremamente positivo su questo piccolo capolavoro. Esso, commosso e perfetto nella descrizione dei giorni e delle vicende e dei sentimenti di più personaggi femminili e nell’attenzione a un paesaggio montano e alla sua umanità segnata dall’ambiente. Un ambiente, è bene ricordarlo, ben poco narrato dal cinema: Quelli della montagna si intitolò uno dei rarissimi film di ieri che lo hanno raccontato (e ci torna alla mente anche qualche film del bolzanino Luis Trenker) – mi ha fatto pensare al piccolo grande romanzo di Paola Drigo Maria Zef, che Delpero certamenteconosce. Ancora di donne vi si narrava e dal punto di vista di una donna.

Vermiglio è in definitiva una storia di accettazione del proprio destino, a partire dalle proprie origini e dallo sconvolgimento che in questo destino – in quanti destini! – ha portato la guerra… Nella purezza di immagini che caratterizza questo film e che qualcuno ha giustamente definito “francescana”, può apparire però un limite, quello di una ispirazione religiosa che direi profondamente cattolica del posto della donna nella società, della sua centralità ma ciò nonostante anche della sua soggezione, della sua accettazione del prevalere maschile.

Vi vedo, oso dire, più l’eco di un cattolicesimo basilare ma forse quello di ieri più che quello di oggi, una visione che Delpero ha introiettato e che sa essere una sua forza, anche se ci piacerebbe vederla altrettanto profondamente alle prese con le contraddizioni dell’oggi.

Goffredo Fofi

Goffredo Fofi (1937-2025) è stata una voce autorevole del panorama culturale nazionale. Ha contribuito alla nascita di riviste storiche come i «Quaderni Piacentini» e altre. È stato inoltre tra i fondatori e coordinatori delle Edizioni dell’asino e della rivista «Gli asini». Tra i suoi libri: "Elogio della disobbedienza civile" (2015); "Totò. L’uomo e la maschera" (2017, con Franca Faldini).

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