Ornaghi: Ossessione burocrazia
![]() Ossessione burocrazia, sintomo della crisi sociale
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autori: | Lorenzo Ornaghi |
formato: | Articolo |
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Ancora pochi anni fa, nella percezione e secondo l’opinione della quasi totalità di noi cittadini, la “burocrazia” – il cui nome, da quando fu coniato o più efficacemente impiegato dal fisiocratico Vincent de Gournay, gode dell’inesausta fortuna dei termini maligni e però non surrogabili con un rassicurante sinonimo – era da considerare tutt’uno con la sindrome vessatoria-paralizzante dell’amministrazione pubblica, se non dello Stato medesimo. La quale pubblica amministrazione, trasformatasi vertiginosamente – dall’Ottocento in poi – in una sorta di ciclopica macchina di produzione, distribuzione e applicazione imperiosa (ancorché confusa e, spesso, artatamente equivoca) di norme regolamentari, procedure e balzelli vari dentro cui irreggimentare ogni possibile rapporto fra il cittadino e lo Stato, aveva così capovolto o forse portato alla sua fatale estenuazione storica quell’ambiziosa capacità “razionale” e “razionalizzante”, di cui – nel Seicento e Settecento, i secoli d’oro dell’organizzazione statale del potere – ci s’immaginava fossero dotate le istituzioni amministrative del fi orente, “moderno” Stato. Per fermarci alla nostra letteratura e non sconfinare nell’arte cinematografica, prolifica di scene ancora più esilaranti (o avvilenti) riguardo a tutto ciò che per motivi di dignità è preferibile avvolgere nei larghi panni della “irragionevolezza” della burocrazia, restano tuttora illuminanti – almeno per quanto riguarda quella particolarissima fattispecie burocratica che è la burocrazia ministeriale – le pagine di L’Orologio di Carlo Levi, pubblicato per la prima volta nel 1950, o di Misteri dei Ministeri, che viene alla luce due anni dopo, di Augusto Frassineti.
Sembra, quella, un’epoca ormai sideralmente lontana da questa nostra stagione. E non già perché invadenze e pervasività della burocrazia, o comportamenti più o meno balzani o protervi dei burocrati in carne e ossa, si siano ridimensionati o appaiano cambiati dopo la caduta del muro di Berlino, o con l’avanzata della globalizzazione, o – qui, nel nostro Paese – con la fine del sistema dei vecchi partiti e la loro sostituzione con smottanti conglomerati di partito del leader.
Semplicemente perché, invece, oltre alla burocrazia famigerata e sin troppo caricaturizzata, auto-riproduttiva, prevedibilmente molesta e in più casi irritante, ci sentiamo avviluppati ogni giorno di più in una burocrazia che nasce e cresce laddove non ce lo saremmo mai aspettati. Ossia in quegli ambiti del cosiddetto privato – più estesamente e
non imprecisamente potremmo dire: in quasi tutte le relazioni sociali “obbligate” – che per una sorta di atavico riflesso sono sempre stati considerati l’antitesi della “logica” di decisione, attività e perpetuazione del potere burocratico-statale. Ed è, quest’altra, una burocrazia che – forse figlia della prima, o invece parente nemmeno troppo stretta – rischia di stremarci subdolamente, sottraendoci giorno dopo giorno quell’essenziale ossigeno che si respira nei nostri più custoditi (sin qui) spazi di libertà.
Sembra, quella, un’epoca ormai sideralmente lontana da questa nostra stagione. E non già perché invadenze e pervasività della burocrazia, o comportamenti più o meno balzani o protervi dei burocrati in carne e ossa, si siano ridimensionati o appaiano cambiati dopo la caduta del muro di Berlino, o con l’avanzata della globalizzazione, o – qui, nel nostro Paese – con la fine del sistema dei vecchi partiti e la loro sostituzione con smottanti conglomerati di partito del leader.
Semplicemente perché, invece, oltre alla burocrazia famigerata e sin troppo caricaturizzata, auto-riproduttiva, prevedibilmente molesta e in più casi irritante, ci sentiamo avviluppati ogni giorno di più in una burocrazia che nasce e cresce laddove non ce lo saremmo mai aspettati. Ossia in quegli ambiti del cosiddetto privato – più estesamente e
non imprecisamente potremmo dire: in quasi tutte le relazioni sociali “obbligate” – che per una sorta di atavico riflesso sono sempre stati considerati l’antitesi della “logica” di decisione, attività e perpetuazione del potere burocratico-statale. Ed è, quest’altra, una burocrazia che – forse figlia della prima, o invece parente nemmeno troppo stretta – rischia di stremarci subdolamente, sottraendoci giorno dopo giorno quell’essenziale ossigeno che si respira nei nostri più custoditi (sin qui) spazi di libertà.
Lorenzo Ornaghi
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