Ornaghi: Ossessione burocrazia

Ornaghi: Ossessione burocrazia

19.01.2016
Ossessione burocrazia, sintomo della crisi sociale
Ossessione burocrazia, sintomo della crisi sociale
autori: Lorenzo Ornaghi
formato: Articolo
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Ancora pochi anni fa, nella percezione e secondo l’opinione della quasi totalità di noi cittadini, la “burocrazia” – il cui nome, da quando fu coniato o più efficacemente impiegato dal fisiocratico Vincent de Gournay, gode dell’inesausta fortuna dei termini maligni e però non surrogabili con un rassicurante sinonimo – era da considerare tutt’uno con la sindrome vessatoria-paralizzante dell’amministrazione pubblica, se non dello Stato medesimo. La quale pubblica amministrazione, trasformatasi vertiginosamente – dall’Ottocento in poi – in una sorta di ciclopica macchina di produzione, distribuzione e applicazione imperiosa (ancorché confusa e, spesso, artatamente equivoca) di norme regolamentari, procedure e balzelli vari dentro cui irreggimentare ogni possibile rapporto fra il cittadino e lo Stato, aveva così capovolto o forse portato alla sua fatale estenuazione storica quell’ambiziosa capacità “razionale” e “razionalizzante”, di cui – nel Seicento e Settecento, i secoli d’oro dell’organizzazione statale del potere – ci s’immaginava fossero dotate le istituzioni amministrative del fi orente, “moderno” Stato. Per fermarci alla nostra letteratura e non sconfinare nell’arte cinematografica, prolifica di scene ancora più esilaranti (o avvilenti) riguardo a tutto ciò che per motivi di dignità è preferibile avvolgere nei larghi panni della “irragionevolezza” della burocrazia, restano tuttora illuminanti – almeno per quanto riguarda quella particolarissima fattispecie burocratica che è la burocrazia ministeriale – le pagine di L’Orologio di Carlo Levi, pubblicato per la prima volta nel 1950, o di Misteri dei Ministeri, che viene alla luce due anni dopo, di Augusto Frassineti. 
Sembra, quella, un’epoca ormai sideralmente lontana da questa nostra stagione. E non già perché invadenze e pervasività della burocrazia, o comportamenti più o meno balzani o protervi dei burocrati in carne e ossa, si siano ridimensionati o appaiano cambiati dopo la caduta del muro di Berlino, o con l’avanzata della globalizzazione, o – qui, nel nostro Paese – con la fine del sistema dei vecchi partiti e la loro sostituzione con smottanti conglomerati di partito del leader.
Semplicemente perché, invece, oltre alla burocrazia famigerata e sin troppo caricaturizzata, auto-riproduttiva, prevedibilmente molesta e in più casi irritante, ci sentiamo avviluppati ogni giorno di più in una burocrazia che nasce e cresce laddove non ce lo saremmo mai aspettati. Ossia in quegli ambiti del cosiddetto privato – più estesamente e
non imprecisamente potremmo dire: in quasi tutte le relazioni sociali “obbligate” – che per una sorta di atavico riflesso sono sempre stati considerati l’antitesi della “logica” di decisione, attività e perpetuazione del potere burocratico-statale. Ed è, quest’altra, una burocrazia che – forse figlia della prima, o invece parente nemmeno troppo stretta – rischia di stremarci subdolamente, sottraendoci giorno dopo giorno quell’essenziale ossigeno che si respira nei nostri più custoditi (sin qui) spazi di libertà.

Lorenzo Ornaghi

 

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