Avallone: Il Male e la redenzione, fra realtà e letteratura

Per due volte mi sono trovata a tu per tu con il Male. Il Male smisurato e senza giustificazione, inguaribile, irreparabile. Entrambe le volte, questo corpo a corpo è avvenuto all’interno di un abbraccio. I luoghi hanno avuto un ruolo in questi due incontri. Si tratta, non a caso, di due posti in cui, in gergo, “si finisce”. Il primo è stato una stanza d’ospedale del reparto di pediatria. Qui, in qualità di volontaria di un’associazione, ho tenuto in braccio e cullato un bambino di sette mesi malato incurabile di tumore. L’ho tenuto stretto, pur con tutta la delicatezza possibile. Gli ho cantato una ninna nanna per provare a distrarlo dal dolore, per ridimensionare il Male che stava facendo scempio del suo corpo minuscolo. Per consentire alla madre di tornare a casa dagli altri figli. Ricordo gli occhi di quella donna mentre me lo affidava: distrutti. L’espressione del suo volto: come pestato a sangue, senza alcuna illusione o speranza. E ricordo il peso di quel bambino, così lieve. Il suo pianto basso e costante, la sua sovrumana resistenza in quella lotta così impari: lui, appena venuto al mondo, e quel Male enorme, invincibile. Soffriva. Nonostante le cure, gli antidolorifici, lo sforzo di tutti coloro che provavano a lenire quella sofferenza, la sofferenza era lì, e non mollava la presa. Ricordo il mio senso vertiginoso d’impotenza, il mio bisogno irresistibile di rivolgermi, pur da non credente, a Dio: «Non puoi permettere un’ingiustizia simile». Il mio scandalo, la mia rabbia.
Eppure, quello era un abbraccio. Stavo cercando con tutta me stessa di riparare almeno in minima parte l’irreparabile, e quel bambino, con il suo calore, il suo peso, il suo pianto, mi stava consegnando qualcosa d’intraducibile in parole, una domanda che continuerà ad accompagnarmi, inesauribile. Dentro il Male, eravamo insieme. Resisteva, in quella voragine, un incontro. Fragile, flebile: un insieme. Contro quel Male inflitto a un bambino, nell’assoluta innocenza. Un bambino che non avrebbe mai camminato, corso, attraversato il mondo. Come può essere perdonabile, un’ingiustizia simile? Ricordo i suoi occhi quando si sono aperti e affacciati sui miei. Quando ho cercato con tutte le mie forze di sorridergli anziché piangere. Il suo piccolo viso, straziato, pieno di umanità. Qualche mese dopo, lui sarebbe morto. Io non lo avrei dimenticato.
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