fbevnts Città spugna: ripensare le città partendo dall’acqua

Città spugna: ripensare le città partendo dall’acqua

26.10.2024

di Elena Granata

Piogge intense, fiumi che tracimano, alluvioni, allagamenti nelle città sono fenomeni sempre più frequenti, alternati a periodi di siccità e aumento della temperatura. Le inondazioni non sono certo un fenomeno nuovo, ma l’intensità e la frequenza degli eventi catastrofici a cui assistiamo in questi anni non hanno precedenti. Ad ogni alluvione i climatologi ci ricordano la correlazione stretta tra piogge e temperatura: l’aria che si surriscalda contiene più acqua e quindi aumenta la quantità e la potenza delle piogge.  Le città possono fare molto per fronteggiare questi nuovi rischi ed è proprio alla scala urbana e micro-urbana che le amministrazioni e le comunità locali possono giocare la loro partita. Perché se è vero che il clima dipende da scelte globali, legate alle grandi scelte nazionali ed economiche, è altrettanto vero che le scelte politiche locali possono fare molto per mettere in sicurezza le comunità. Progettisti, architetti, ingegneri, ecologi, paesaggisti sono oggi chiamati a intervenire in modo locale e puntuale sul corpo vivo della città, lavorando sulle superfici, sui suoli liberi, sulle infrastrutture naturali (alberi, prati, suoli, acque), così da renderli più resilienti e capaci di rispondere alla crisi climatica. È cruciale adattare i nostri sistemi insediativi affinché siano più reattivi e capaci di rispondere alle catastrofi secondo una “logica vegetale” (è questo lo spirito delle cosiddette nature-based solution): alla forza della natura si può rispondere solo con la natura, mettendosi alla sua scuola. In quale modo? Con quale tipo di soluzioni progettuali? Da tempo abbiamo compreso che la pelle delle città fatta di materiali duri, di cemento, di asfalto, di pietra, di lamiere, amplifica la radiazione solare riflessa da queste superfici, accresce la percezione di calore da parte delle persone e quindi i danni sulla loro salute e impedisce all’acqua di venire assorbita facilitando inondazioni anche nei centri abitati. Oggi paghiamo il conto di un’urbanizzazione intensa e spesso incapace di rispettare l’alveo dei fiumi e la preesistenza di elementi naturali. Se vogliamo intervenire in modo efficace dobbiamo lavorare su questa pelle impermeabile, consentire l’assorbimento naturale dell’acqua, la capacità drenante e assorbente dei suoli, per renderli capaci di reagire agli eventi climatici estremi. È la prospettiva delle città spugna sperimentata per la prima volta in Cina su ispirazione di Kongjian Yu, professore del College of Architecture and Landscape dell’Università di Pechino (sponge cities).


Passare da un centro urbano impermeabile, ricoperto di asfalto e cemento, a una città con superfici naturali, verdi, porose dove è più probabile che l’acqua venga assorbita, richiede di de-pavimentare e de-impermeabilizzare là dove è possibile farlo, tornando al suolo libero e naturale, di aumentare il patrimonio arboreo, di introdurre vasche di raccolta dell’acqua. Alberi, verde pensile, aiuole, parchi, stagni o laghi, ma anche strade sterrate, sabbia e altre superfici permeabili possono contribuire ad assorbire velocemente l’acqua e rallentare il deflusso superficiale.

È chiaro che andare in questa direzione richieda di immaginare città molto diverse da quelle a cui siamo abituati. È un percorso necessario ma che incontra ancora pregiudizi culturali e legati ad un’idea di decoro urbano che predilige asfalto e pietra; serve coraggio e determinazione perché non abbiamo alternative: la crisi climatica ci sfida nei luoghi dove le persone vivono, ci chiede di reintrodurre alberi e suoli liberi dove li abbiamo persi, di provare a ripensare la struttura stessa delle città, ispirandoci alla natura.

Pensiamo alle “piazze d’acqua” o ai “giardini inondabili”, oggi diffusi nelle città olandesi, che adottano un approccio complice con la natura, trasformando il problema della gestione delle acque piovane in una risorsa per la riqualificazione ambientale, economica e sociale andando ad integrare l’acqua negli spazi aperti.
Spazi aperti, aree gioco, aree per lo sport, aree a parco naturale, diventano “giardini inondabili” dove l’acqua viene raccolta ed integrata per stimolare le varie attività, con una capacità di gestire volumi di pioggia straordinari ma anche di proporre una nuova estetica dello spazio pubblico. Sono progetti da cui abbiamo molto da imparare. E, infine, dovremo avere più cura del nostro patrimonio idrico nazionale, soprattutto nelle regioni del Sud. Per decenni abbiamo collettivamente ritenuto secondario prenderci cura dell’acqua, integrandone la cura in una pianificazione attenta al sistema dei suoli e all’uso delle risorse, come se l’acqua fosse una risorsa infinita. Ma non è così: il patrimonio delle infrastrutture idriche italiane - il 36 % delle condotte per acqua potabile in Italia ha più di cinquanta anni e fa letteralmente acqua in molte sue tratte - richiederebbe urgenti interventi di manutenzione, ammodernamento e sostituzione delle linee più danneggiate. Andrebbe sottratto a monopoli e gestioni legate alla corruzione e al malaffare, restituito alla sua natura di bene pubblico accessibile a tutti. La crisi climatica e i suoi effetti sulla nostra sicurezza e il nostro benessere può diventare davvero l’occasione preziosa per rimettere l’acqua al centro della pianificazione territoriale e della cura delle città. Ma dobbiamo essere disposti a cambiare marcia per davvero.

(nella foto Kansas City)

Elena Granata

Elena Granata è professore di Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, vicepresidente della Scuola di Economia Civile. Si occupa di città, ambiente e cambiamenti sociali. Tra i suoi libri: Teen Immigration. La grande migrazione di ragazzini (con A. Granata, Vita e Pensiero 2019), Biodivercity. Città aperte, creative e sostenibili che cambiano il mondo (Giunti 2019), Placemaker. Gli inventori dei luoghi che abiteremo (Einaudi, 2021). È cofondatrice di PlanetB.it, gruppo di ricerca sui temi ambientali e sociali.

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