fbevnts Da Treccani a Wikipedia: le sorprendenti convergenze del sapere

Da Treccani a Wikipedia: le sorprendenti convergenze del sapere

15.02.2025
di Cristina Bon e Paolo Colombo

Entrambi gli autori di questo articolo provengono da famiglie diverse fra loro ma accomunate da una origine modesta, nella storia delle quali c’è comunque un momento emblematico: l’acquisto dell’Enciclopedia Treccani. Fosse per certificare il sospirato raggiungimento di uno status economico e sociale, fosse per ribadire con atto simbolico inequivocabile la ormai durevole appartenenza al ceto medio, ci si dotava di decine di pesanti volumi pomposamente rilegati in nero e oro da esibire nella sala adibita al ricevimento degli ospiti: riti di sociabilità, li chiamerebbero gli esperti di storia sociale e culturale.

Oggi nessuno si sognerebbe di tenere aperta la pagina di Wikipedia durante una cena con amici per ostentare la propria possibilità di accedere alla più nota enciclopedia on line.

Eppure, entrambi gli autori si ricordano bene (era la tarda primavera del 1993) la prima volta che il World Wide Web fu a disposizione e si iniziò a “navigare”: l’emozione, l’eccitazione, la curiosità, e poi… la delusione per la sostanziale desolazione dell’ambiente in cui virtualmente si era entrati: qualcosa come il deserto dei Tartari.

Ma il deserto si popolò ben presto di motori di ricerca (o meglio, di portali, come Yahoo o Clarence), account di posta elettronica, siti di aziende e istituzioni, anche biblioteche. Certo, per quanto innovativo, l’accesso ai cataloghi bibliotecari on-line rappresentava comunque una rivoluzione a metà; il vecchio mondo tentava, allora come oggi, di adattarsi al cambiamento e chiedeva nuovi strumenti di consultazione e di informazione di massa. E Wikipedia rispose: il 15 gennaio del 2001 la prima “enciclopedia online a contenuto libero, collaborativa, plurilingue e gratuita” venne lanciata dall’improbabile sodalizio di Jimmy Jimbo Donal Wales, impiegato nel settore finanziario, e Lawrence Larry Mark Sanger, laureato in filosofia. I due avevano già concepito un’altra enciclopedia in rete, Nupedia, ma le entries venivano verificate da esperti, il che richiedeva troppo tempo. Da cui, la più veloce wiki, termine preso dalla locuzione hawaiana “wiki wiki” che significa non a caso “molto veloce”. Ma come ottenere questa velocità? Rendendo chiunque fosse disposto a rispettare minime condizioni editoriali potenzialmente protagonista della trasmissione del sapere. Geniale.

Fermo immagine. Flashback. 18 febbraio 1925: a Roma, su iniziativa di due senatori del Regno, l’industriale tessile Giovanni Treccani degli Alfieri e lo storico della filosofia Giovanni Gentile (fino a poco prima Ministro dell’Istruzione Pubblica), viene fondato l’Istituto della enciclopedia italiana, per “dare anche all’Italia una grande enciclopedia nazionale”. Un Comitato tecnico predispone il lemmario e l’assegnazione delle voci tesa a garantire“l’equilibrio tra le varie discipline”. Ne viene un’opera titanica, con eccellenti contributori, che gemma altri progetti innovativi (come il Dizionario Enciclopedico italiano o La Piccola Treccani).

Treccani e Wikipedia: ciascuno a suo modo, due ambiziosi progetti di visione, mirati allo specifico bisogno di conoscenza del proprio tessuto sociale di riferimento, che così facendo hanno lasciato un segno.

Sorge, però, spontaneo chiedersi che ci faccia ancora in giro la Treccani al tempo di Wikipedia e come si trasmetta oggi il sapere.

Una risposta alla prima domanda era già stata abbozzata anni fa da “la Repubblica”, con un breve articolo sul rilancio di Treccani in rete, partito nel 1996 da una pagina internet modestissima ma che nel tempo (e come reazione giusto alla parallela diffusione di Wikipedia) ha portato a realizzare una vera e propria enciclopedia on-line che affianca le voci degli anni ’30 a più recenti approfondimenti di intellettuali, giornalisti e accademici, anche su fatti di attualità. La risposta di Treccani a Wikipedia si inserisce in un più ampio contesto di digitalizzazione delle fonti primarie e secondarie che, grazie anche alle crescenti capacità di gestione dati, ha permesso di ampliare enormemente la quantità in rete di informazioni attendibili e verificate (basti pensare alla monumentale opera di digitalizzazione della Library of Congress). Il risultato di questo sforzo si è riversato nuovamente su Wiki che, non a caso, è diventata una fonte più attendibile, con link a fonti sicuramente affidabili, magari proprio enciclopediche ‘tradizionali’. Insomma: tra molte criticità, sembra che la promessa di una democratizzazione del sapere alla base dell’esperimento wikipediano sia stata, almeno in parte, mantenuta, anche grazie alla digitalizzazione di Treccani; e questo contribuisce a dare risposta alla prima delle nostre domande.

E quella per la seconda? La si può cominciare trovare proprio in tale complementarietà fra due enciclopedie di origini così lontane, che aiuta a spiegare le più recenti modalità nella trasmissione del sapere fondate su forme di ibridazione fra metodi e strumenti diversi, o su modalità di co-produzione che coinvolgano gli stessi pubblici cui ci si rivolge: si pensi ai corsi di laurea ‘ibridi’ (che uniscono didattica in presenza e da remoto), ai progetti di Public-History (che chiamano in causa direttamente le comunità nella costruzione della narrazione storica); o ancora agli esperimenti laboratoriali per la creazione di entries di Wiki. Ne tratta il volume Nuove frontiere nella trasmissione del sapere (Vita e Pensiero, 2024), prodotto dal Centro di Ricerca Arti e Mestieri dell’Università Cattolica di Milano, che ha avviato una riflessione sulle sfide che attendono il mondo universitario proprio sul delicato tema della costruzione e condivisione di conoscenza.

Tutto bene? Ingenuo pensarlo. Ciò che chiamiamo storia contemporanea nasceva nell’insieme sul presupposto – fra gli altri – che l’ignoranza fosse inutilmente dispendiosa. Il mondo in cui ci stiamo addentrando parrebbe invece sempre più convinto che sia l’educazione a costituire un costo inutilmente superfluo. Grave sarebbe voler risolvere il problema solo con uno strumento di informazione apparentemente economico e ‘democratico’ come il Web.

Abbiamo parlato fin qui di ibridazione: noi umani siamo una specie che su questo ha basato il proprio successo. Sappiamo mixare le nostre esperienze in più campi per risolvere problemi enormemente complessi. E sappiamo benissimo – o dovremmo saperlo – che nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma. E mai come ora, di fronte alla rivoluzione copernicana dell’AI, è bene tenerlo a mente. Probabile che ‘cultura’, tra pochissimo, equivarrà non più a saper dare risposte, ma a saper porre domande (quelle giuste: ai chatbot): tutto si trasforma, appunto.

di Cristina Bon e Paolo Colombo

Cristina Bon è professoressa associata di Storia delle Istituzioni politiche all’Università Cattolica di Milano. Si occupa di storia del sistema politico-istituzionale statunitense, con particolare riferimento al processo di costruzione dello stato-nazione nel lungo ottocento e al ruolo del Presidente. Dal 2023 dirige, presso lo stesso ateneo, il Centro di Ricerca Arti e Mestieri, con il quale ha collaborato per molti anni come ricercatrice e membro del Comitato direttivo.

Paolo Colombo è professore ordinario di Storia delle istituzioni politiche nella Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna anche Storia contemporanea. Da anni lavora sul rapporto tra Storia e narrazione e, insieme a Chiara Continisio, organizza in luoghi d’ec­cellenza milanesi (come la Basilica di Santa Maria delle Grazie, il Museo Diocesano, il Teatro Litta, il Teatro Ariberto, il Teatro Carcano, ecc.) «Storiaenarrazione», cicli di lezioni aperte al pubblico il cui successo è andato in continuo crescendo. Autore di nu­merosi saggi e monografie, collabora regolar­mente con RaiStoria e Rai3, ha scritto articoli per «La Gazzetta dello Sport» e pubblicato ro­manzi per ragazzi per «Il Battello a Vapore» di Piemme Editore.



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