fbevnts L’IA ci renderà ancora più pigri?

L’IA ci renderà ancora più pigri?

21.06.2025
di Gigio Rancilio


Sta già avvenendo in molte parti del mondo e, secondo Mark Zuckerberg, CEO di Meta (che controlla Facebook, WhatsApp, Instagram e Messenger) capiterà sempre più spesso. Che cosa? L’intelligenza artificiale diventerà il nostro terapeuta e, per certi versi, la nostra migliore amica. «Qualcuno – secondo Zuckerberg – con cui poter parlare di qualsiasi problema ci preoccupi».

Già oggi diversi servizi online utilizzano l’intelligenza artificiale come supporto psicologico per le persone. E la usano innanzitutto perché ha una capacità di ascolto maggiore della maggior parte degli esseri umani. Non si stanca di ascoltare, non si arrabbia anche quando viene provocata, non offende mai il suo interlocutore e non cerca di prevaricarlo. Un passo importante ma che rivela una nostra sconfitta: in una società che macina conversazioni e parole in maniera sempre più veloce, stiamo perdendo la capacità di ascoltare. Se un’intelligenza artificiale possa davvero o meno sostituire i professionisti della psicologia è un tema che lasciamo agli esperti, ma una domanda resta: come cambierà il rapporto delle persone con i loro problemi di relazione e con i propri fallimenti e le proprie paure, se ad aiutarle come terapeuta sarà una macchina? Davvero possiamo sostituire l’ascolto delle persone, degli altri, dei pazienti con una chat?

Troppo spesso ci viene automatico puntare il dito contro le nuove tecnologie. E benché ci siano molti buoni motivi per avvicinarle con cautela, conoscenza e attenzione, resta il fatto che una parte del loro crescente successo dimostra la nostra sconfitta come esseri umani. Se in un prossimo futuro, nelle strutture che curano gli anziani arriveranno robot in grado di dare medicine ai pazienti, di servire pranzi e cene e conversare con loro o semplicemente leggere loro libri o le notizie del giorno, non sarà per lo strapotere delle tecnologie, ma per altri fattori. Il primo dei quali è l’assenza dei parenti dei ricoverati da quei luoghi, per motivi molto diversi e spesso seri, importanti e giustificati. Il secondo è che la carenza del personale sanitario a un certo punto vedrà alcune funzioni di base inevitabilmente appaltate alle macchine, non solo se sarà conveniente da un punto di vista economico usarle ma anche perché c'è una strutturale carenza di personale che sembra destinata a peggiorare in futuro. Insomma, non saranno le macchine che prenderanno il potere se ciò accadrà, ma – se avverrà – andranno a riempire un vuoto lasciato dalle persone.

Se ci fate caso, nell’uso dell’IA come terapeuta psicologico e in quello appena descritto, il comune denominatore è l’uomo prima che la macchina. È il nostro cambiamento, la nostra mancanza di tempo e la nostra pigrizia che sta dando e darà sempre più spazio in alcune parti delle nostre vite all’intelligenza artificiale.

Ma c’è di più. A dare retta a Zuckerberg, una delle priorità che ha in testa è quello di come far sì che l’intelligenza artificiale possa aiutarci a essere un amico migliore per i nostri amici. Una frase che merita di essere approfondita. Secondo il CEO di Meta, la sua intelligenza artificiale potrà aiutarci a capire meglio cosa fanno i nostri amici, dove sono, che periodo stanno vivendo, quali sono i punti di contatto che abbiamo ancora con loro e come possiamo trovare il giusto modo per tenere vivo il nostro rapporto. E in questo senso il canale privilegiato non saranno i social (che da piattaforme di relazione si sono trasformati in piattaforme di esibizione e ora persino di vendita) ma l'intelligenza artificiale integrata nei sistemi di messaggistica come WhatsApp, Messenger e Instagram Direct. «Ci aiuterà a capire ciò che sta accadendo alle persone alle quali teniamo», ha spiegato Zuckerberg. Quindi, «l'IA migliorerà il nostro modo di relazionarci con gli altri».

Ogni volta che pensiamo alle tecnologie che entrano in maniera così importante nelle nostre vite – nel rapporto tra noi e i nostri amici, ma anche nel nostro bisogno di trovare qualcuno che ci ascolti nei nostri momenti più fragili – istintivamente tutto questo ci fa paura. Perché fa davvero paura l’idea che una macchina conosca così bene noi e le vite dei nostri amici da diventare in qualche modo una sorta di entità che ci dica quando e come muoverci per essere più empatici, più amichevoli, più affettuosi, più attenti. Tanto più che non stiamo parlando di mezzi neutri, ma di sistemi che ogni giorno immagazzinano miliardi di dati su come le persone si comportano. Su come noi ci comportiamo.

I meno ottimisti, a questo punto, avranno già immaginato scenari dove le macchine imparano a conoscere così bene gli uomini da ingannarli e spingerli in direzioni che non avrebbero ma preso. È una possibilità, ma credo che sia molto più probabile che avvenga un’altra cosa. E cioè che, invece di aiutarci a migliorare nei rapporti con gli altri, tutti questi supporti tecnologici, ci renderanno ancora più pigri e disattenti nei nostri rapporti. Avremo infatti più scuse per non ricordarci anche le cose più semplici come un compleanno (scusami tanto, la macchina non me l’ha ricordato). Ma soprattutto avremo scuse in più per giustificare la nostra sempre minore voglia di confrontarci con gli altri o anche soltanto di ascoltarli. Perché una macchina capace di ascoltare all’infinito qualcuno e che non perde mai la pazienza col suo interlocutore è anche una macchina che sta anzitutto immagazzinando dati da usare per i suoi interessi.

Gigio Rancilio

Gigio Rancilio è il responsabile social di Avvenire. Si è occupato di spettacolo, musica e di tante altre cose. Ama la sua famiglia e, come dice il suo profilo su Twitter, ha fatto la fine della tartaruga di Lauzi (chi ha orecchi per intendere...).

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