Quelli che resistono al declino

Forse non siamo proprio così vicini al punto di non ritorno, anche se nella velocità e nella simultaneità dei cambiamenti che travolgono il mondo e che hanno antropologicamente cambiato anche noi, il rischio c’è ed è sempre alle porte. Parlando di libri, si può anzi sperare che – essendo strumenti perfetti e insostituibili, come sempre raccontava Umberto Eco – il pericolo che cadano nell’oblio, almeno nell’immediato, non c’è, visto che almeno il 90% del fatturato degli editori è costituito da libri di carta. Tuttavia, osservando la fase che sta attraversando oggi l'editoria libraria, non sono pochi i motivi di preoccupazione.
Intanto bisognerebbe evitare una di quelle ipocrite circonlocuzioni in cui l'Italia è maestra (come quando, per non dire apertamente che esistono divisioni e contrasti, si dice che “ci sono sensibilità differenti”), e cioè che il mercato è in una fase di transizione. In realtà, la transizione è ormai passata da qualche anno; siamo già entrati nell'editoria dei tempi nuovi, con acquisizioni e alleanze che hanno determinato assetti di mercato decisivi (come tra Mondadori e Rizzoli, Giunti e Bompiani, Feltrinelli e Messaggerie, ecc.) e con il digitale e l'intelligenza artificiale già arrivati a dettare nuovi processi e modalità d'intervento e sviluppo in campo editoriale.
Così, se il mondo editoriale è sempre in movimento (perché le acquisizioni, totali o parziali, continuano, con Mondadori, GeMS, Giunti e Feltrinelli arrivati nel 2024 al 53,9% di quota di mercato nel libro di consumo, e Mondadori, Zanichelli e Sanoma con il 70,4% nel libro scolastico-educativo), il mercato appare invece dormiente. Il 2024 è stata un'annata pesante (abbiamo venduto 2,5 milioni di copie in meno); ci sono state fiammate improvvise che si sono andate via via spegnendo (come nell’area dei bambini e dei ragazzi); anche i best-seller, come le stagioni, “non sono più quelli di una volta”, con un forte impatto commerciale in partenza e una durata di molti mesi in classifica. E se anche il 2025, nei primi tre mesi, ha segnato in libreria un -4,9% in meno di fatturato, vuol dire che la stabilità è ancora lontana.
Non perché editori e librai, istituzioni e associazioni non facciano di tutto per raddrizzare il settore, ma evidentemente perché – come sappiamo – sono ancora troppo pochi quelli che leggono in Italia, di pari passo con quelli su cui si era sempre fatto affidamento (i lettori abituali) e che adesso leggono molto meno e, pur continuando probabilmente ad acquistare più di quanto poi in realtà leggano, a un certo punto si arrendono all'evidenza di dover giocoforza rallentare i loro acquisti.
Certo, internet, i social e i media digitali in genere hanno contribuito, nella sottrazione o nella dispersione crescente del tempo disponibile, a tale rallentamento della lettura, che ha pur sempre bisogno di uno spazio esteriore e interiore di silenzio, serenità e concentrazione per attivarsi ed essere coltivata. Oggi invece questo spazio si è notevolmente ridotto, e soltanto un forte desiderio e una ferma volontà di non rinunciare a leggere possono ristabilire un sano equilibrio tra le scelte da compiere nell’uso del proprio tempo.
E siccome non abbiamo l’ombrello di Mary Poppins capace di farci salire miracolosamente in alto, la battaglia per sostenere la civiltà del libro e della cultura in genere resta affidata alla resistenza paziente di quanti si sforzano di opporsi al declino, impegnandosi a far sì che l’istruzione e la lettura restino a fondamento della nostra formazione e della nostra crescita come uomini e come cittadini.
Adesso la priorità è la promozione della lettura nelle regioni del Sud e delle isole, dove – come ha messo in luce la recente indagine AIE - è evidente il profondo divario culturale, strutturale, e commerciale con il Nord del Paese, per ovviare al quale si stanno attivando da parte del Ministero della cultura e dell’Associazione italiana editori progetti concreti e stanziando adeguate risorse.
Giuliano Vigini
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